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Editoriale

Proprietà-diesse, che regresso! Ora servono idee chiare e decisioni forti per evitare il baratro

Chi l’ha detto che le imprese calcistiche afferiscono soltanto a vittorie insperate, a traguardi sudati e a trofei sollevati? A suo modo anche la Salernitana di quest’anno ne sta compiendo una. Quella di essere riuscita a demolire in pochi mesi l’intelaiatura di una squadra che girava quasi a memoria, a mille all’ora, con il coraggio e la sfrontatezza di giocarsela su ogni campo e contro chiunque. Un’impresa ardua, complicata ma che pure si sta purtroppo materializzando. C’è poco da gioire e rallegrarsi. Anzi, la classifica e i risultati impongono amarezza e profonda delusione. Appena a fine ottobre, la rassegnazione è certamente prematura ma già dietro l’angolo e si tocca con mano ovunque.

Tante le responsabilità. Le principali sono ascrivibili a Danilo Iervolino, figura apicale della società non solo per il suo ruolo di presidente/proprietario ma anche e soprattutto per la direzione accentratrice che ha impresso alla sua gestione aziendale. Il nodo è tutto lì. Nella recente conferenza stampa di presentazione di Inzaghi, il patron si è autopromosso come già conoscitore della complessa materia calcistica dopo neanche ventiquattro mesi di apprendistato. “All’inizio dicevo di essere neofita ed era così. Ora però ancora lo si scrive ma devo dire che ormai ho capito quest’azienda come funziona”, il concetto fatto passare da Iervolino. Probabilmente due anni sono un po’ poco, anche guardando a quanto successo a pochi Km più a nord dove il suo collega De Laurentiis per tantissimo tempo s’è affidato a manager scafati e navigati prima di assimilare competenze e assumere gradualmente decisioni anche in ambito meramente tecnico.

Il punto di non ritorno sembra essere stato l’avvicendamento tra Sabatini e De Sanctis. Sia chiaro: il manager perfetto, il presidente perfetto, la squadra e lo staff perfetti non esistono. La sterile contrapposizione tra fazioni che si è creata tra desanctisiani e sabatiniani è stucchevole ma non si può fare a meno di notare che le due filosofie differenti sono figlie di profili dirigenziali agli antipodi. Da un lato un manager decisionista, empatico e dalla innegabile leadership nei confronti di spogliatoio, piazza e soprattutto proprietà. Dall’altro colui che Iervolino definì, in tempi non sospetti, “un suggeritore”. Il presidente, con le sue scelte, ha inteso avocare a sé la gestione di un giocattolo sì costoso e dispendioso, ma che gli ha consentito visibilità ed esposizione mediatica mai conosciute prima. L’attuale diesse rischia di finire sulla graticola. Sotto osservazione lo è già e non è da escludere una sua eventuale sostituzione se a questo inizio tutt’altro che confortante non seguisse una reazione significativa.

Iervolino si era affacciato in Serie A come un uragano che s’era ripromesso di rivoluzionare il calcio, partendo dalla gestione dei diritti televisivi fino ad arrivare all’ostico tasto dolente della sempre maggiore ingerenza dei procuratori. Ma le rivoluzioni non si fanno mai da soli. L’imprenditore di Palma Campania ha cercato sponde nei palazzi romani imbarcando anche la figura di Gianni Petrucci, esperta e carismatica ma che di certo non può rappresentare  discontinuità col passato e innovazione. Alla fine dei giochi – guardando all’esito della penultima assemblea di Lega che ha assegnato i diritti televisivi – il resto dei presidenti di A ha preferito il certo all’incerto, vale a dire gli attuali broadcaster televisivi, piuttosto che perseguire la strada caldeggiata da Iervolino (canale di Lega, nda). Per rivoluzionare davvero il calcio serviranno tempo, pazienza e un pizzico di diplomazia in più.

Tornando alle vicende strettamente calcistiche, dopo dieci giornate emergono tutti i limiti di una squadra allestita con presunzione. E così anziché costruire la nuova Salernitana, s’è sgretolata la vecchia. Altro che squadra “potenzialmente più forte dell’anno scorso”. Come se non bastasse fa acqua da tutte le parti la gestione della quotidianità. Tra i tanti, probabilmente il tallone d’Achille principale dell’attuale direzione sportiva è un gruppo che appare tutt’altro che coeso. Tanti giocatori sono rimasti a Salerno dopo la sessione di mercato estiva col muso, a dimostrazione che non era sufficiente allontanare le “mele marce” Sepe e Bonazzoli, regalati a Lazio e Verona e ancora parzialmente stipendiati; il malessere era più profondo e diffuso. Dispensare ciclicamente scatti sorridenti al pur bravo fotografo ufficiale è un po’ come nascondere la polvere sotto il tappeto. Ma i nodi in campo e di campo arrivano sempre al pettine perché fa fede la classifica, il risultato.

E ora? La tentazione di cadere nella rassegnazione è forte, però la storia anche recente insegna che nel calcio spesso accade l’imponderabile. Va ponderato – e bene – l’action plan che Iervolino intenderà attuare per raddrizzare una barca che imbarca ettolitri d’acqua in un mare in tempesta. Il patron dovrà accantonare l’orgoglio, ammettere gli errori commessi e guardare al futuro. Un effort aggiuntivo che dovrà coinvolgere tutta l’area tecnica, dal management alla squadra passando per l’attuale allenatore il cui impatto è stato finora risibile. Un nuovo instant team a gennaio per cercare un’altra miracolosa salvezza, un terzo tecnico se Inzaghi non dovesse rivelarsi all’altezza con un paio di rinforzi mirati, un nuovo diggì per affiancare De Sanctis oppure un nuovo direttore sportivo al posto dell’ex portiere? Può accadere tutto e niente. Di certo, il bilancio che il club si appresta a chiudere in perdita di quasi 30 milioni non aiuta. Serve spalmare più in là il punto di raggiungimento dell’equilibrio economico e fare qualche sacrificio in più per salvare la categoria. Serviranno idee chiare, decisioni forti e ulteriori risorse da investire. La Serie A è un bene troppo prezioso per la città, la tifoseria e la stessa società. Iervolino lo sa bene.

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