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Breda tra passato, presente e futuro: “Centenario lo sento mio. Tornare da allenatore? Mi piacerebbe”

Duecentocinquantadue partite e dodici gol con la Salernitana, leggenda vivente per gli appassionati del cavalluccio al punto che la stessa società granata ha ritirato il suo numero storico, il 4, come tributo. Trasversalmente amato da tutti, anche da chi non l’ha visto giocare (dal 1993 al ’99 e dal 2003 al 2005), ma solo in panchina. Capitano coraggioso, anche in un giorno speciale quello del Centenario. In una lunga intervista concessa al Mattino, Roberto Breda racconta la sua lunga esperienza in granata.

Sulla felice ricorrenza odierna, questo è il pensiero dell’allenatore trevigiano, ora in forza al Livorno: “La festa di compleanno per eccellenza della squadra a cui devo tutto, ci ho vissuto gli anni più importanti e centrali della carriera. È una ricorrenza che sento mia. Sono arrivato ieri a Salerno e ho riscontrato grande entusiasmo. Giusto così, mi fermo con tanto piacere a salutare tanti tifosi amici che non vedo da tempo”.

Su una top-11 granata Breda si sbottona poco: “Degli anni precedenti ai miei conosco poco, ma la domanda mi mette in difficoltà, perché fare dei nomi significherebbe lasciare fuori qualcuno. Ce ne sono troppi, ho vissuto anche varie epoche, dalla promozione in B alla mia esperienza da tecnico, passando per il salto in A. Di certo, per Salerno sono passati tanti giocatori forti. Restando al centrocampo, con me hanno giocato Strada, Tudisco, i due Tedesco, Carrus che ho allenato. Come fai a tenere fuori qualcuno? Anche sui portieri è dura, cito Balli e Chimenti con cui ho vinto i campionati. Mi fermo qui per non far torti a nessuno”.

Non solo tante gioie, l’esperienza a Salerno ha lasciato anche qualche situazione non piacevole ed una di queste riguarda anche l’addio da calciatore in maglia granata, giunto il 23 gennaio 2005, nella sua Treviso: “Ne abbiamo passati di momenti brutti, penso alla retrocessione di Piacenza. Ma lì non c’è stato un vero responsabile, bensì diversi episodi che l’hanno causata. Addio da calciatore ai granata? Onestamente non mi aspettavo si concretizzasse così. Quando me lo dissero, però, che avrei smesso… fui subito d’accordo. Nella mia testa c’era già l’idea di provare a fare allenatore, avrei potuto dare una mano a Gregucci e colsi al volo l’opportunità. Avevo entusiasmo, sapevo che anche senza di me quella squadra avrebbe potuto fare bene”.

La prima volta, però, non si scorda mai: “Sì, all’ultima ero già nella fase calante della carriera e giocavo meno. Ancora oggi rivivo con felicità la trasferta di Giarre: arrivai a ottobre ’93 ma il mercato era fatto per giocare da novembre, all’epoca. Mi ero allenato un mese senza poter giocare, fu una liberazione”.

Parole al miele sia per Delio Rossi che per i tifosi: “Grazie a Delio Rossi perché mi ha fatto vivere momenti importanti e capire l’importanza del ruolo dell’allenatore, mi ha segnato sotto tanti punti di vista. Le scuse forse le devo ai tifosi per l’esito della doppia finale col Verona nel 2011: non che non avessimo fatto tutto quello che potevamo, ma speravo in un finale diverso, era una bella favola che avrebbe meritato altri epiloghi”.

Su un possibile ritorno in futuro: “Mai dire mai. Queste scelte necessitano l’incastro di tante variabili nello stesso momento. Ho due anni di contratto a Livorno e ci sto bene. Però in futuro allenare di nuovo a Salerno non mi dispiacerebbe”.

Venticinque anni fa la vittoria contro la Juve Stabia. Breda si sofferma anche sulle poche, ma belle marcature siglate in carriera: “Fu fantastico, partimmo un po’ in sordina e col mio gol ad Avellino trovammo la svolta, ci fu una presa di coscienza della nostra forza che prima non c’era. Da lì fu un crescendo, un susseguirsi di emozioni. Goal? La punizione col Treviso, ad esempio, nell’anno della promozione in A, con una traiettoria particolare che passò all’esterno della barriera. Tiravo da lontano, dovevo per forza fare bei gol. Forse proprio nella finale del S.Paolo feci il più “brutto”, in cima metto quello col Milan, il mio primo in A”.

Inevitabile una battuta sull’Arechi, casa di Roberto Breda: “Angolo dell’Arechi a cui sono affezionato? Tutti, è uno stadio che fa effetto sempre. L’anno scorso giocai una partita di beneficenza, nonostante la pioggia, rientrarvi in campo da giocatore mi mise i brividi. Mi sono sentito a casa”.

Già assessore allo sport e se gli proponessero di essere sindaco di Salerno, Breda glissa: “No, troppe responsabilità (ride nda). Fu un’esperienza bellissima, che mi ha fatto rendere conto di tante cose. Ma va bene così”

Al Largo Barbuti Breda ospite insieme a Di Vaio (quest’ultimo al telefono) e del giornalista Riccardo Cucchi apre il cassetto dei ricordi: “Gol all’Avellino al 76? Ricordo che il giorno dopo beccai in treno Negretti, portiere avversario. Lo stato d’animo era opposto, lui avvilito e io al settimo cielo. Le mie fedi calcistiche? Ero tifoso della Juve a quindici anni ma, dopo essere andato alla Sampdoria, non sono riuscito più a tifare Juve perché ci giocavo contro anche a livello giovanile e così sono rimasto legato alle società dove ho lavorato. Salerno è in testa. Quando hai vissuto momenti così intensi il legame va oltre aspetto sportivo (alluvione di Sarno, i ragazzi del treno). Quando parlo di Salernitana con ex compagni li sento come fratelli, con chi ho allenato nel 2010/11… le difficoltà ci hanno unito e mi sento zio. Quella stagione è nata tra mille difficoltà, la Salernitana l’anno precedente retrocede straultima in B. I ragazzi erano contestati e gran parte del gruppo era rimasto: abbiamo vissuto anche tutte le bugie che ci raccontavano. Ci illudevamo e non era facile poi andare in campo. A gennaio siamo partiti dicendo basta, ci siamo uniti anche se il culmine lo abbiamo raggiunto a febbraio con Calà. Il direttore sportivo mi prende ancora in giro perché ero l’unico a credere che avesse soldi! Quando passeggio, persone che non conosco mi salutano come fossi un amico fraterno o un parente, sono emozioni forti. Ho sempre cercato di essere coerente e avuto idee chiare, non mi sono mai fatto influenzare. Ho sbagliato a volte come tutti, a volte mi incaponisco ma ho modo di vivere cose basato sull’apprezzare presente e farlo mio, sono un grande privilegiato e provo ad assaporare tutto ciò che mi capita”.

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