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Triste anniversario del Vestuti, 57 anni fa moriva Plaitano: “Mai fatta piena luce”

Sono trascorsi esattamente 57 anni dal tragico epilogo di Salernitana-Potenza, che nel vecchio Vestuti segnò il primo morto in uno stadio italiano. Il triste primato appartiene a Salerno e vide coinvolto il 48enne Giuseppe Plaitano, colpito da una pallottola vagante sparata nel trambusto scoppiato dopo un’invasione di campo. La verità dal punto di vista legale però non è mai venuta a galla e la famiglia non è mai riuscita ad avere piena giustizia dopo l’accaduto. A riconfermarlo, a distanza di tanti anni, è il signor Umberto, il figlio di Giuseppe che quel giorno era allo stadio anche se in una zona diversa dagli ultimi gradini della tribuna, dove il papà si accasciò fatalmente al suolo. A lui fu poi intitolata la curva vecchia del Vestuti, oltre che uno storico club nel 1978.

“Magari per sbaglio, ma fu ucciso da un proiettile esploso da centrocampo e non per compressione toracica come vollero farci credere. Vidi la perizia balistica e l’esito dell’esame autoptico. Tutto sparito. Le carte non ci sono più. Resta una fotografia, recuperata di recente, nella quale si vede chiaramente mio padre riverso in una pozza di sangue, sugli spalti, nei pressi della tribuna stampa. Il tenente Gaetano Parasole, che sparò, fu trasferito in Sardegna, come anche il Questore e il Prefetto. Due anni fa ho scritto al Ministro della Giustizia, ho chiesto di far riaprire il caso. All’epoca, due avvocati penalisti non vollero difenderci. Ancora oggi non porto rancore ma mi assale il dispiacere: ci sono morti di Serie A e morti di Serie B”, ha confessato Umberto Plaitano sulle pagine dell’odierna edizione del Mattino che ricorda quel brutto giorno.

Il 28 aprile del 1963 c’erano 15mila persone al Vestuti, stipate ovunque e molte anche “abusivamente” sulle mura di cinta dell’impianto. Un classico per quei tempi, soprattutto in partite sentite e importanti per la classifica come quella contro il Potenza, che avrebbe poi vinto quel campionato di Serie C. La Salernitana lottò a lungo per un ritorno in cadetteria. Quella domenica, infatti, i granata avrebbero potuto raggiungere in vetta alla graduatoria proprio il Potenza e il Trapani, se avessero vinto, con quattro partite poi ancora da giocare in seguito. Ecco il perché di tanto fermento. Accadde che gli ospiti andarono in vantaggio con Losito sul finire del primo tempo con una contestatissima azione, secondo tifosi e calciatori granata viziata da un fuorigioco che la terna arbitrale guidata dall’alessandrino Giuseppe Gandiolo non vide. La gara proseguì e quando, a undici minuti dalla fine, tutto lo stadio invocò un rigore per fallo su Visentin, gli animi si accesero irrimediabilmente, come raccontano Giuseppe e Francesco Pio Fasano nel volume “Salernitana, la storia”: dapprima un tifoso scavalcò la recinzione nel tentativo di raggiungere l’arbitro ma fu bloccato, poi un secondo personaggio entrò in campo e fu bersagliato dalle manganellate della polizia. La ferita vistosa provocatagli, generò una maxi invasione: le forze dell’ordine intervennero entrando sul terreno di gioco con le camionette e con il lancio di gas lacrimogeni, con la terna arbitrale e i giocatori potentini che rientrarono rapidamente negli spogliatoi, mentre i calciatori di casa provavano a calmare le acque. Ma tutto era ormai nel caos. Da una pistola della polizia partì un colpo che colpì il povero Plaitano alla tempia e furono inutili i soccorsi. Nacque una guerriglia anche all’esterno, arbitro e squadra lasciarono il Vestuti dopo ore. Alla Salernitana fu assegnata la sconfitta a tavolino con annessa squalifica del campo.

“Era una bellissima giornata di sole – ha raccontato qualche anno fa uno dei testimoni diretti di quella partita, l’ex attaccante Oliviero Visentin, in un’intervista rilasciata ad Alfonso Maria Avagliano – Ho immagini nitide. L’invasione fu provocata dall’arbitro che fischiava a senso unico a favore degli avversari. ‘Non mi fate paura’, ci diceva. Un po’ di decisioni discutibili, il Potenza in vantaggio e già dagli spalti avevano cominciato a smontare la rete, bastava poggiarsi e far venir giù tutto. A quel punto gli avversari entrarono fallosamente su di me in area mentre mi involavo verso la porta, non fu fischiato il rigore e non si capì più nulla: all’improvviso le reti di recinzione cominciarono a sgretolarsi e tutti entrarono in campo. In un battibaleno fu baraonda, la polizia sparava lacrimogeni ed entrava sul terreno di gioco con le camionette. C’erano anche bambini in campo, quelli dell’orfanatrofio. Una camionetta passò sulle gambe di un ragazzino: si fece male, urlava e fu portato negli spogliatoi. Vidi del sangue, i poliziotti picchiavano coi manganelli, scene da fare impressione. Scappai praticamente con i vestiti in mano a casa di alcuni familiari di Bruno Carmando, la gente pensava mi fosse successo qualcosa, poi partii subito per Gorizia perché dovevo tornare a casa per votare alle elezioni”.

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