Dalla Svizzera con tanta voglia, ma poca fortuna. Per due anni la fascia sinistra della Salernitana è stata (in parte) di Francesco Di Jorio che fu scoperto da Zeman e preso da Aliberti prima che il boemo si sedesse sulla panchina del cavalluccio. Due stagioni, dal 1999 al 2001 senza però lasciare il segno: era una Salernitana ancora scossa dalla retrocessione dalla Serie A e anche un po’ in stato confusionale. Il primo campionato da protagonista, il secondo invece da infortunato. Non l’esperienza migliore dell’esterno svizzero che oggi fa l’agente e aspetta nella sua casa a Zurigo che passi l’emergenza del Coronavirus.
Raggiunto dai nostri microfoni, Di Jorio apre il baule dei ricordi e comincia a raccontare della Salernitana sin dalla trattativa che lo ha portato in granata già nella primavera del 1999: “Tutto è iniziato con Aliberti che era spesso in contatto con Zeman – dice Di Jorio – Avevo giocato due partite in Coppa contro la Roma di Zeman e spesso il tecnico si sentiva con Aliberti. Gli fece il mio nome e allora quando mancavano cinque o sei giornate alla fine del campionato di Serie A la Salernitana mi prese subito per la stagione successiva”.
Arrivato a Salerno, qualche difficoltà di ambientamento anche perché la squadra incontrò alcune difficoltà: “Sono arrivato in un momento non semplice, Cadregari fu importante perché mi convinse. Ho iniziato abbastanza bene, anche se dovevo ambientarmi allo stile italiano: non avevo problemi di lingua, ma ero comunque uno straniero. E poi le temperature, ad agosto a Salerno fa caldissimo e in Svizzera ero abituato a ben altro. Ho iniziato da terzino sinistro nonostante allo Zurigo giocassi da esterno alto o massimo da quinto: non mi sentivo molto a mio agio, non ero forte a coprire. Dopo la retrocessione ci si aspettava un gran campionato, ma non tutto funzionava”.
Fu un anno complicato, tra il valzer degli allenatori e risultati che non soddisfacevano la piazza: “Sul mister c’erano tante aspettative, paragonavano Cadregari a Delio Rossi ma i risultati non arrivavano. Probabilmente non ha avuto il tempo di mettersi in mostra, poi la squadra fu rivoluzionata rispetto alla Serie A. Nel secondo anno invece partii con uno spirito diverso, mi ero ambientato e mi stava iniziando a piacere il calcio italiano. Ma al primo giorno di ritiro mi sono fratturato la spalla: sono stato fermo parecchi mesi, la Salernitana poi era un casino e ci furono di nuovo tanti allenatori che si alternarono. Non sono più rientrato bene in squadra e stavamo andando peggio dell’anno prima. Ho deciso quindi di andarmene”.
In tutto poco più di 30 presenze e 3 gol, prima dell’addio alla Salernitana: “Sono ritornato in Svizzera soprattutto per mia moglie, non era stato facile neanche per lei vivere a Salerno. Potevo andare al Genoa o anche a Francoforte, però decisi di ritornare al San Gallo anche per riprendermi la Nazionale. Il calcio italiano è molto diverso da quello svizzero, credo che sia la nazione più preparata tatticamente: c’è velocità, fisico, intensità. Anche i mister sono migliori rispetto a quelli svizzeri e c’è molta più pressione: a Salerno soprattutto non era facile, bastava perdere due partite per andare subito in ritiro”.
Nella sua finestra italiana Di Jorio ha stretto qualche amicizia, anche se quello non era un gruppo molto unito: “Con Vannucchi e Fusco soprattutto ebbi un bel rapporto, ma si creò poco gruppo. In due anni ci fu solo una cena di squadra con le mogli. Arrivai a Salerno con tanta euforia, però ci furono troppi problemi: anche pagamenti arretrati con Aliberti. Mi aspettavo molto di più e invece subimmo anche la contestazione dei tifosi. Non era facile, non si poteva neanche uscire a Salerno quando si perdeva”. Nel 2008 Di Jorio ha dato l’addio al calcio giocato, ma non ha abbandonato il mondo del pallone: “Ho iniziato prima a lavorare con il mio agente, poi mi sono messo in proprio. Ora sono a tutti gli effetti un procuratore Fifa. Lavoro in Svizzera soprattutto ma ho fatto anche trasferimenti internazionali: mi occupo della Bundesliga. L’operazione più importante, ho portato Rakitic prima al Siviglia e poi al Barcellona”.
Anche in Svizzera c’è crisi da coronavirus, ma il paese di Di Jorio è già ripartito ed è pronto a dare il via anche al calcio: “Qui da noi c’è più libertà rispetto in Italia, anche se in 46 anni non ho mai visto una crisi come quella degli ultimi due mesi. Funziona comunque tutto e il Paese ha già iniziato a versare contributi ai cittadini. Per il calcio si deve aspettare inizio giugno, io credo che si deve finire quanto iniziato anche a porte chiuse. Si dovrà giocare ogni tre giorni e poi trovare una soluzione alle scadenze del 30 giugno: serve una proroga. Insomma, gli stessi problemi che ci sono in Italia ma i nostri numeri del virus sono molto più bassi”.
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