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#NonTiScordarDiMe. Jansen, l’amore per l’italiano e uno spogliatoio difficile

In Olanda l’emergenza Coronavirus ha intaccato solo in parte le abitudini di vita dei cittadin tra cui Stefan Jansen, attaccante originario di Haarlem che ha vestito la maglia della Salernitana nella stagione 1996/1997. “La mia zona è come la Lombardia, è partito tutto da qui” racconta Jansen – che oggi vive a Rosmalen – ai nostri microfoni: “Qui non è stato imposto un lockdown completo, dobbiamo solo rispettare il metro e mezzo di distanza e non possiamo incontrare altre persone, bar e ristoranti sono chiusi. Il governo ha deciso di ‘controllare’ il contagio, i numeri sono già in calo. Vedremo cosa accadrà nei prossimi giorni”.

Dal presente al passato. Un passato che a Salerno, per Jansen, non è stato felicissimo: “Non so perché ma quell’anno fu difficile per tutti, non facemmo bene, rischiammo di retrocedere. Ricordo però che feci un buon precampionato”. A differenza di qualche suo connazionale, il centravanti classe ’72 – che nella seconda divisione olandese ha vinto anche il titolo di capocannoniere – non soffrì l’adattamento al calcio italiano: “Gli allenamenti per me rappresentavano un vantaggio. In Olanda si lavorava molto sul possesso palla, in Italia sull’aspetto tattico e su quello atletico. In qualche modo mi completai”.

Inizialmente Jansen – oggi procuratore di molti calciatori tra cui Moreno Rutten, centrocampista classe ’93 in forza al Crotone – era destinato ad altri lidi: “Raiola venne in Olanda a vedere due partite del Cambuur, squadra in cui giocavo all’epoca. Segnai due gol e mi disse che mi avrebbe portato al Padova. Dopo tre mesi però i piani cambiarono e firmai con la Salernitana. Ad accogliermi in città ci furono Aliberti, Cannella e il segretario Diodato Abagnara”.

Le difficoltà dunque furono di altra natura: “Forse era un problema di spogliatoio, c’era la ‘vecchia guardia’ a comandare. Inoltre avevo la concorrenza di Pisano e non giocavo al centro ma sulla destra”. Jansen parla dunque di uno spogliatoio non semplice da vivere: “C’erano giocatori come Tudisco, Pisano, Ricchetti, Grimaudo che avevano già fatto la storia della Salernitana e quindi avevano un peso importante anche se magari non giocavano bene in quel periodo”.

Il centravanti olandese trovò però anche tanti amici: “Uscivo spesso con Cudini, Rachini e Tiatto. Salerno mi manca tanto, ricordo che dove abitavo (San Mango Piemonte ndr) non c’era niente. La città però mi piaceva davvero tanto, era molto carina e i tifosi erano davvero calorosi”. Tifosi che in quella stagione fecero sentire la loro presenza anche nei momenti negativi: “Ricordo che dopo la partita di Castel Di Sangro (i granata persero 1-0 con gol di Bonomi ndr) salirono sul pullman per parlare. Andammo in ritiro, c’era un clima davvero teso”.

Un clima positivo in campo invece con mister Colomba: “Con lui c’era davvero un bel rapporto, era una persona molto umile. Ci confrontavamo spesso, mi piaceva la sua idea di calcio orientata al possesso palla”. Discorso diverso per Varrella: “Appena arrivò mi disse che mi avrebbe messo fuori perché non parlavo italiano, poi mi infortunai e quindi rimasi fuori fino al termine della stagione”. Eppure oggi, oltre vent’anni dopo, l’italiano di Jansen è più che apprezzabile: “Imparai da subito la lingua. In ritiro portai i libri per studiare, leggo giornali e due volta alla settimana facevo lezioni con una insegnante privata. Ho sempre voluto parlare italiano”.

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