Il bomber di scorta, generoso, operaio ed efficace. Tre anni, un lungo infortunio e il ritorno con un contributo alla promozione in B nel 1994: per l’abruzzese Tiziano D’Isidoro l’esperienza alla Salernitana è ancora nel libro dei ricordi più belli, con 16 gol in 54 presenze ufficiali tra il 1991 e il 1994. Tanti belli, molti di testa, quasi tutti decisivi ai fini dei tre punti soprattutto il primo anno con Simonelli in panchina. Di questi, anche uno con la mano. Ormai l’episodio è andato in prescrizione e l’ex attaccante può confessarlo: “Giocavamo all’Arechi contro il Casarano, vincemmo 1-0. Ci fu il cross sul secondo palo di Ciro Ferrara, io andai a colpire la palla tra testa e mano. Diciamo che non si notò“, la sorridente cronaca del diretto interessato, oggi 53enne allenatore tra i dilettanti abruzzesi e dipendente di un’azienda importante nel settore dell’alluminio. “Ma l’anno prossimo potrò andare in pensione”, dice.
Sfogliando il suo album dei ricordi, emerge il gol più bello in granata: “Quello contro la Reggina, la partita era iniziata da 20 secondi, ci fu un rinvio del portiere che era fuori dai pali e tirai quasi da centrocampo. Ricordo con gioia anche il gol al Giarre al mio esordio all’Arechi”. In entrambi i casi la Salernitana, appena dolorosamente retrocessa dalla B, vinse 1-0. D’Isidoro l’anno prima era stato capocannoniere in C2 con l’Atletico Leonzio. “Salerno è stata la mia prima piazza importante, venivo da una realtà piccola e fui acquistato per un importo esagerato, ben 500 milioni. Era un calcio diverso, più genuino: Del Mese e Cannella mi vennero a prendere in ritiro, di sera. – ricorda – Iniziammo molto bene, eravamo a ridosso delle prime in classifica. Poi mandarono via Simonelli, con cui avevo un buonissimo rapporto, e al suo posto arrivò Burgnich che aveva idee diverse. Fui messo un po’ da parte, giocai poco nel girone di ritorno, mentre avevo fatto benissimo all’andata”. Il torneo 1991/92 si chiuse con 8 gol in 28 presenze. C’erano i presupposti per migliorarsi l’anno successivo ma il ginocchio fece crac. “Eravamo in ritiro sulle Dolomiti, mi feci male in un’amichevole contro il Carpi. Da lì ho avuto problemi cartilaginei. Carmando fece di tutto per rimettermi in sesto ma non ce la feci a rientrare per la fine della stagione, che saltai completamente. Mi rimisi dopo qualche mese, in tempo per il ritiro dell’anno con Delio Rossi”, racconta ancora D’Isidoro. Quel campionato 1993/94, cavalcata vincente per l’ippocampo, lo visse un po’ all’ombra di Pisano, da comprimario. “Venivo dall’infortunio, nel precampionato non stavo benissimo ancora. Diciamo che seppi soffrire e dare il mio apporto al gruppo, facendo pure qualche gol. – afferma – Pisano andava alla grande, era difficile togliergli il posto. Le mie soddisfazioni le ebbi in Coppa Italia, dove giocai e segnai un bel po’, divenni capocannoniere. Delio? Era squisito, anche se aveva portato un gruppo di giocatori di sua fiducia da Foggia ed era difficile per me essere protagonista. Provai comunque a mettermi in mostra e ho un solo rimpianto, quello di non aver giocato neppure un minuto nella finale del San Paolo contro la Juve Stabia. Avevo giocato qualche minuto in semifinale, con la Lodigiani e pensavo di poterlo fare anche all’ultimo atto, ma non fu così. Va bene lo stesso, l’importante era vincere e andare in B”. La forza di quella squadra fu il gruppo. “Tutti venivamo da annate difficili e dovevamo voltare pagina, per non parlare dei giovani alle prime esperienze come Fresi. Ognuno aveva i suoi motivi per dare il massimo. – ricorda ancora D’Isidoro – C’era anche qualche problemino societario, partimmo senza pronostici e con le contestazioni dei tifosi. Poi, riuscimmo a fare la differenza. Il guascone del gruppo era senz’altro Grimaudo, con cui avevo già giocato a Francavilla. Aveva una potenza aerobica allucinante, lo chiamavamo l’indiano. Spesso scommetteva con gli altri compagni che avrebbe corso i mille metri con gli stivali e con tempi migliori rispetto ad altri. Ci riusciva. Era uno sfottò continuo. Continuo a sentire molti di loro ancora adesso: c’è Rachini che abita vicino casa mia, ma sento anche Fresi e tanti altri, anche chi come Di Noia e Genco giocava meno”.
D’Isidoro ha chiuso la carriera nel 2002 al Potenza. In precedenza, oltre a quella della Salernitana, ha vestito anche le casacche di Nola, Francavilla, Lanciano, Leonzio, Turris, Catania, Benevento, Maceratese, Taranto, Cassino e Melfi, sempre tra C1, C2 e Serie D. Oggi si tiene in forma con lunghe passeggiate in bicicletta. “Ho il ginocchio un po’ malconcio e per la salute è giusto mantenersi in attività, posso farlo solo così, in bici: a calcio non posso più giocare ma resta la mia grande passione. La Salernitana di oggi? La seguo ma non mi entusiasma tanto, ha un patron di fuori che non ha il cuore salernitano, non mi appassiona. – la chiosa amara dell’ex calciatore – Nulla contro Lotito, ma sembra diventata una società satellite della Lazio. Anche con Casillo forse era subordinata, ma c’erano persone del posto che la gestivano e si percepiva più genuinità. anche il rapporto con i tifosi era diverso, generava più attaccamento e anche nelle contestazioni si vedeva la passione e ti dava stimoli. Oggi non sembra essere più così”.
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