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Iervolino vuole cambiare il sistema calcio: “Sarò il primo a licenziare un giocatore”

Prima la lotta con i direttori sportivi, poi con gli agenti. Adesso Danilo Iervolino mette nel mirino anche i calciatori, in nome del calcio pulito. Nel convegno tenuto ieri all’UniSalerno, il patron granata ha affrontato vari temi, come quello anche dei contratti dei calciatori, a sua detta troppo tutelati, a discapito della sana gestione di una società di calcio: “La mia battaglia in Lega è, ahimè, molto difficile perché ci sono background culturali e competenze differenti. Se ci sono quindici presidenti che hanno terza media è difficile spiegare certi meccanismi – ha spiegato -. Il primo problema nasce sui contratti dei calciatori. Non si vuole retrocedere per prestigio, per accontentare la tifoseria ma soprattutto perché bisogna continuare a pagare stipendi alti in serie inferiori. Sarò il primo a licenziare i giocatori in Italia, potete dirlo apertamente. Hanno tutti i livelli di protezione. Un professionista puoi cambiarlo se viene meno il rapporto fiduciario, se c’è scarso impegno, mancanza di idoneità, scarso rendimento. Non sia mai una squadra si permette di fare questo prende una penalizzazione.

Nell’università ho fatto una riforma epocale, lo farò anche nel calcio perché sono un uomo libero e coraggioso. I calciatori sono lavoratori, se sono dipendenti devono essere uguali agli altri. No, sono professionisti, e allora si sono presi tutte le tutele da una parte e dall’altra e le hanno inserite in un contratto dei calciatori che è la prima cosa che va condannata. Se ti pago per avere una certa performance e quella performance non ce l’ho, posso risolverlo? Se vado in una serie inferiore, posso risolverlo o devo fallire? In tutte le aziende lo stato di crisi permette di sbilanciare in favore dell’imprenditore, di tagliare, nel calcio perdi finché non fallisci di tuo. Questo è doping finanziario che, da parte mia, inizia da una diffusa incompetenza. Il calcio è un’industria importante, ci sono professionalità importanti. C’è bisogno di una nuova griglia, altrimenti la deriva è già scritta, non ci sono soldi che bastano, è una catena di Sant’Antonio che a chiunque la molli avrà un problema”.

Il problema plusvalenze

L’imprenditore palmese si è soffermato anche sulla questione plusvalenze che ha principalmente toccato la Juventus, ma anche la Salernitana della gestione Lotito: “Il doping finanziario è la finanza che prende sopravvento sui valori e sullo spettacolo. In senso lato è stato visto solo dalla prospettiva delle plusvalenze, ma ce n’è uno anche relativo ai calciatori che con le proprie alchimie e i propri approcci deontologicamente condannabili non fanno trasmissione dei sani valori della competizione, ma vanno dal maggiore offerente. E perché no anche doping dei procuratori e dei tifosi che sapendo di mettere quella innaturale pressione alle squadre impongono un ritmo di investimento tutt’altro che sostenibile ed equilibrato. Sono un neofita nel calcio, non voglio essere possessore delle verità assolute ma qualcosina l’ho capita. Magari il calcio fosse come arte: l’asta, il mercato è oggettivo come regola domanda e offerta ma qui non c’è, ci sono due che attraverso artifizi e creano vantaggi reciproci. Due soggetti che si accordano per alterare i bilanci. Perché i conti sono drogati? Non c’è alcun vantaggio finanziario, dal punto di vista della cassa non c’è differenza, se un giocatore vale due milioni, un altro dieci, la differenza è otto. Se li valuto dodici e venti è sempre la stessa differenza di corrispettivo ma cambia dal punto di vista delle imputazioni e degli ammortamenti in bilancio.

Le squadre devono ottemperare a indici patrimoniali che in certi casi non permettono l’iscrizione al campionato quindi alcune hanno maldestramente adoperato questo escamotage e purtroppo questo viene aggravato quando sono quotate in Borsa. La plusvalenza avviene quando c’è scambio di giocatori, nel calcio o si perdona tutto o viene condannato tutto: certo che devo fare plusvalenza, non vedo l’ora! La plusvalenza è prendere un calciatore a cinque e venderlo a venti, non fare uno scambio di figurine e alchimie, oggi passa un messaggio negativo. La plusvalenza con un orientamento sano va bene, è l’obiettivo. L’età, il blasone e la competizione in cui il giocatore ha giocato danno un range di valutazione. Credo nella giustizia sportiva che farà il suo corso, non sono un moralizzatore, spero quanto prima per sdoganare una foto del calcio italiano, se è malsana che si resetti e si riparta, altrimenti torni la fiducia nelle squadre di calcio. C’è bisogno di un impianto regolatorio che disciplini. Qualche proposta ce l’ho. Gli interessi nel calcio sono disallineati. Sarebbe folle spendere più di quanto incassi. L’imprenditore vorrebbe sempre guadagnare, il lucro va di pari passo con l’aspetto sociale di ricaduta sul territorio. C’è l’aspetto della retrocessione che fa svalutare il patrimonio, vengono i tifosi sotto casa, premono, vogliono i grandi nomi, comincia un ecosistema liquido disallineato. Viene il mister, il diesse, quale direttore sportivo non vuole andare a parlare col City o col Real e sogna di fare mercato un ricco? In mezzo c’è il presidente che deve tirare somme, fare una sintesi tra pressioni, mediare, ci rimette i soldi e comunque tutti sono infelici. Il calcio è un circo un po’ strano”.

I cambiamenti

Iervolino ha detto anche la sua su come cambiare un sistema calcio malato: “Una ricetta sarebbe la possibilità di rivalutazione dei cartellini. Gli indici di liquidità non lo permettono, chi viene preso a un milione e fa venti gol e non vuole venderlo non può metterlo a patrimonio con nuovo valore. C’è la questione paracadute, non può esserci sproporzione. Le regole le fanno cinque o sei squadre e le piccole, nonostante il consesso sia a maggioranza semplice, non dicono nulla sperando in una benevolenza che non arriverà mai. In Lega ho detto cose irripetibili e tutti i presidenti delle piccole sono venuti ad abbracciarmi, la Lega si è piegata su interessi di pochi. Abbiamo una squadra che prende tre o quattro volte rispetto all’ultima classificata. Le piccole squadre del mezzogiorno non parlavano, erano inibite rispetto a grandi personaggi del nord. Tutte le piccole oggi hanno imprenditori grandi e le grandi hanno imprenditori piccoli. Allora siamo noi le grandi? Distinguiamo, lo dico con una battuta. Manca una cultura dello sport. Presidenti e portatori di interessi a vario titolo parlano solo di risultati sportivi, non c’è mai impegno nel sociale, la trasmissione alla tifoseria di quello che deve essere una società di calcio. Mancano i controlli, non c’è mai un aspetto sanzionatorio, parlo dell’autodisciplina. Se tu già sai che una società ha problemi economici o che ci sono regole non rispettate come minimo l’ente di indagine e monitoraggio del settore dovrebbe avviare inchieste. E invece no perché comincia la politica, le cose all’italiana. Le cose si possono gestire con un tratto di penna: contratti, rivalutazioni e paracadute. Ci vuole una paginetta di una norma per farlo. Perché non si fa? Non lo so. Non è per lagnarsi, voglio lanciare un alert dal punto di vista del consenso e capire chi è per il cambiamento e chi non lo è”.

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