La dura lezione subita al Vigorito di Benevento era nell’aria. Perché le prime tre prestazioni della squadra granata, nonostante l’imbattibilità ed i cinque punti conquistati, avevano lasciato più di una perplessità nella mente degli osservatori calcistici abituati ad analizzare freddamente i riscontri del campo e ad accantonare in fretta il dato meramente numerico del risultato. I giallorossi di Bucchi, pertanto, rappresentavano il test giusto per smentire gli scettici o per rendere tangibili i timori pallonari trasmessi da una squadra che stenta a trovare un’identità tecnico-tattica degna degli investimenti effettuati dalla proprietà.
La Salernitana continua a presentarsi sul prato verde con la mentalità di una compagine attrezzata per raggiungere obiettivi diversi da quelli imposti da una campagna acquisti importante ed ambiziosa. Il 5-3-2 del trainer laziale, bloccato, farraginoso, a tratti pachidermico, spesso privo di aggressività in fase difensiva, ed assolutamente povero di trame corali e di spunti imprevedibili in grado di creare difficoltà agli avversari, rischia di svilire le potenzialità di un organico che ha il dovere di affrontare le gare con coraggio, carisma ed una buona dose di sana presunzione. Ieri il Benevento, che non ha certo bisogno di essere incoraggiato per fare la partita, ha dovuto semplicemente attendere, senza particolari ansie, il momento giusto per capitalizzare la netta supremazia territoriale del primo tempo. Nell’osservare la facilità di palleggio espressa da Viola e compagni, a tratti quasi incontrastata, sembrava di assistere ad un’esercitazione tattica infrasettimanale, con la Salernitana nei panni di passiva sparring partner. Troppo semplice per i padroni di casa dar vita ad una sorta di accademico torello al cospetto del quale Di Tacchio e compagni, spesso fuori tempo a causa di un’evidente inferiorità numerica nella zona nevralgica del campo, non potevano fare altro che ripiegare negli ultimi venticinque metri e sperare di essere sempre attenti e lucidi nella lettura delle insidie provenienti dalle corsie laterali e dai calci piazzati causati da un inevitabile affanno difensivo. Probabilmente il Benevento, se non fosse rimasto spaventato da qualche fumoso sfarfallio iniziale di Jallow, avrebbe pigiato maggiormente il piede sull’acceleratore e capitalizzato prima il suo dominio territoriale. Però alla fine, come spesso accade nel calcio quando sei perennemente costretto a subire l’iniziativa altrui, la stanchezza dell’assedio, psicologica e fisica, si traduce in un errore che fa franare in un attimo il castello di sabbia difensivo che hai costruito. Contro una squadra (Padova) che non presenta grosse individualità tecniche in mezzo al campo, spietate bocche di fuoco nei sedici metri ed arcigni difensori a presidiare l’area di rigore, puoi anche riuscire a giocare di rimessa e a vincere il match sfruttando le disattenzioni altrui.
Quando invece ti misuri con avversari come i giallorossi di Bucchi, ricchi di qualità tecnica, provvisti di attaccanti in grado di fare la differenza e difensori sufficientemente esperti e puntuali nelle letture, la partita devi giocarla da protagonista e con l’intraprendenza dettata dalle possibilità tecniche a tua disposizione. Perché ogniqualvolta i granata hanno approcciato il campo con maggiore aggressività (secondo tempo contro Palermo e Lecce e buon avvio di ripresa contro gli stessi sanniti), chiedendo di più al loro bagaglio tecnico e alla loro capacità di essere autorevoli nella gestione della contesa, le difficoltà procurate dall’eccessivo attendismo si sono spesso trasformate in opportunità per creare problemi agli avversari. Affrontare il match con il baricentro spostato in avanti e con la ferma intenzione di riproporsi con coraggio e lucidità nella metà campo rivale, alla luce di quanto è emerso nelle prime quattro giornate del torneo, è un dovere di questa Salernitana, nata per disputare finalmente un torneo all’altezza delle aspirazioni della sua tifoseria. Il nocciolo della questione, come già ampiamente ribadito in precedenti occasioni, non è da reperire nel sistema di gioco da utilizzare.
Colantuono possiede una rosa ampia e competitiva, diverse soluzioni alternative rispetto ai titolari, pertanto può tranquillamente adattare il suo progetto calcistico ad ogni sfumatura dell’intero arcobaleno tattico. Ciò che appare invece controproducente e da accantonare definitivamente è il costante atteggiamento d’attesa, al limite della passività, tenuto dalla squadra nelle parti iniziali delle prime quattro gare della stagione. Atteggiamento che depaupera le potenzialità calcistiche dell’organico, sottrae autostima ai calciatori e rischia di confondere i sostenitori granata sull’autentico valore tecnico del gruppo. E’ comprensibile saper soffrire e pazientare quando l’avversario ti costringe alla difesa, mentre consegnarsi preventivamente ai rivali di turno è un errore che i granata, a partire dall’imminente match contro l’Ascoli, dovranno assolutamente evitare di commettere. La Salernitana è una squadra di fascia medio-alta, deve essere più esigente con se stessa. Se vuol essere realmente protagonista, la truppa di Colantuono non può accontentarsi di battere le ‘piccole’ sfruttando i loro errori. Se vuol davvero inserirsi nella lotta ai vertici della classifica, l’ex tecnico di Atalanta e Torino deve lavorare per lanciare al campionato messaggi diversi. Prima che la confusione e l’insicurezza s’impadroniscano del gruppo a sua disposizione e di chi è chiamato a sostenerlo.
Silvio
22/09/2018 at 16:26
Analisi perfetta.Vi leggo sempre con interesse. Bravi