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Aic, Calcagno su ripresa B e C: “Possiamo prendere tempo. Ma pensiamo anche a come convivere col virus”

Anche l’Assocalciatori, nelle sue uscite ufficiali, si dice possibilista verso una ripresa dei campionati, anche se rumors dei singoli calciatori lascerebbero presagire un certo timore da parte loro verso la ripresa delle attività. Si veda la scelta del portiere della Cremonese, Agazzi, di rescindere il contratto (clicca qui per leggere l’articolo).

Il vicepresidente dell’Aic, Umberto Calcagno, è intervenuto oggi su Radio1 nel corso della trasmissione Sabato Sport per fare il punto. “Ci sono ancora dei nodi da sciogliere, ma mi pare che le dichiarazioni del ministro Spadafora e quelle di Gravina lascino spiraglio per una soluzione. Nel consiglio federale che ci attende (possibile una convocazione intorno al 20 maggio, nda) saremo chiamati a prendere importanti decisioni, tra le quali non ci sarà il blocco della Lega Pro, perché possiamo prendere tempo e capire come evolverà la situazione, visto che Serie B e C non hanno limiti di chiusura tornei come la A e possono andare oltre il 3 agosto. Certe decisioni comunque andranno prese e non si potrà in questo senso non considerare l’aspetto sportivo di due terzi del campionato cercando di dare le risposte più giuste, anche se probabilmente non andranno bene a tutti”. 

Appare molto difficile, nonostante l’assenza di vincoli temporali per la cadetteria, una ripresa serena delle competizioni. Va anche detto che per la teoria dei vasi comunicanti, i campionati sono tutti strettamente legati alla massima serie. In ogni caso, nei prossimi giorni il nuovo protocollo, magari più flessibile, potrebbe dare una spinta in più e diradare i dubbi delle scorse ore sorti in merito a quarantena di gruppo al primo positivo, alle responsabilità mediche e ai ritiri in isolamento. “Sulla quarantena ci aspettiamo delle risposte da parte delle autorità ministeriali, va trovata una soluzione e credo che tutti si stiano impegnando in questo senso. – afferma CalcagnoPer il resto ci sono responsabilità tecniche e responsabilità politiche. Ci siamo sempre affidati alle indicazioni del Comitato Scientifico perché è giusto seguire le direttive di chi ci sta sopra. Da parte nostra abbiamo l’obbligo di farci trovare pronti: oggi il nostro mondo ha ritrovato compattezza nella volontà di ripartire, dobbiamo trovare insieme le soluzioni adeguate sperando che la curva epidemiologica migliori e che i protocolli possano essere diversi tra due settimane. Dobbiamo assumerci qualche responsabilità e vedere cosa succede fra 15 giorni. Si deve stabilire un protocollo che ci faccia convivere con il virus, perché tutti abbiamo capito che il problema non si risolverà nel giro di qualche mese e se le prospettive sono che in autunno ci sarà una curva dei contagi ancora diversa, le nostre preoccupazioni aumentano“. Proprio così, bisogna pensare anche a settembre, alla stagione 2020/21. “Il nostro mondo crea un indotto importante sia verso l’esterno, in termini di contributi allo Stato, che verso l’interno dello stesso sistema calcio, e una mancata ripartenza, che ripetiamo non deve essere a tutti i costi, non ci dà sicurezze per il futuro. – continua il vicepresidente del sindacato dei calciatori L’indotto che produce la parte apicale del nostro calcio è tale che uno stop dell’attività si ripercuoterebbe in maniera determinante verso la base e a pagarne le conseguenze peggiori sarebbe proprio la parte più debole del sistema. Il nostro atteggiamento, e anche quello federale, è sempre stato in questo senso quello di salvaguardia verso le categorie più basse”. 

Ma una soluzione, proprio per salvaguardare le categorie più basse, potrebbe anche essere rappresentata dal fare ogni sforzo per far ripartire solo la massima serie, chiudendo anticipatamente i campionati inferiori e ipotizzando un loro allargamento, con blocco delle retrocessioni, pianificando però un maggior numero di retrocessioni per una riforma finalmente produttiva dal 2021/22. “Veniamo da anni di mancate riforme – spiega Calcagno – Ciò non vuol dire un taglio di squadre, ma una diversa e più oculata distribuzione delle risorse all’interno del nostro sistema. Rispetto ad altri paesi come Spagna o Inghilterra siamo indietro e dobbiamo cogliere questa occasione per fare quelle riforme necessarie mai attuate fino ad oggi. Noi non siamo mai stati contrari alla riforma dei campionati, ma abbiamo sempre sostenuto che non possiamo partire dal format, ma da una diversa distribuzione delle risorse, dalla revisione della legge Melandri e seguire gli esempi dei campionati esteri. Ridistribuendo meglio le risorse, il numero delle squadre lo determinerà il mercato, ridistribuire non vuol dire dividere le ricchezze a meno squadre. Il calcio di base ha degli aspetti sociali importanti: abbiamo calciatori dilettanti che sono professionisti di fatto, e togliere squadre vuol dire togliere opportunità lavorative a tanti ragazzi e ragazze che vivono di calcio”.

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