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Milan-Salernitana nel segno di Prati: “Papà e quel legame speciale con i granata”

Sarebbe stata un po’ la sua partita, di certo avrebbe presenziato. Lui, milanese di Cinisello Balsamo, aveva iniziato col botto la carriera da professionista in granata con 10 gol in 19 partite e una promozione in B nei favolosi anni ’60, prima di vincere praticamente tutto con la maglia del Milan. Pierino Prati non c’è più da un anno e mezzo. Nell’ultima sua visita a Salerno, datata 2014 in occasione di un evento proprio con la scuola calcio ufficiale dei rossoneri, aveva fatto capolino nel vecchio Vestuti con un auspicio: “Prima la Salernitana dovrebbe tornarci in A, ma sarebbe bello rivederla contro il Milan“. Non ha fatto in tempo, se n’è andato a 73 anni dopo un periodo di malattia.

Il ricordo

“C’è un suo tifosissimo che ha vissuto tanti anni a Cinisello mi ha fatto avere una foto di un suo gol e ci ha spesso parlato di quanto fosse amato a Salerno. Arrivò che era un ragazzino, alla prima annata da professionista, con valigie di cartone. Lì si è trovato benissimo, aveva un bellissimo rapporto con Tom Rosati e ricordi meravigliosi della città e della gente“. A parlare è Cristiano Prati, il figlio di Pierino “la peste”, legato indissolubilmente al cavalluccio marino che lo aveva lanciato nel calcio. Il suo cartellino era di proprietà del Milan in quell’estate del 1965. Arrivò a diciott’anni in prestito dai rossoneri, con cui avrebbe poi vinto una Coppa dei Campioni da assoluto mattatore, una Coppa Intercontinentale, due Coppe delle Coppe, altrettante Coppe Italia, uno scudetto, un titolo di capocannoniere. Fu anche Campione d’Europa con la Nazionale nel 1968 e azzurro due anni dopo al Mondiale messicano, quello di Italia-Germania 4-3. “Però quei primi hurrà con la Salernitana sono emozioni indimenticabili“, ha sempre ricordato l’ex attaccante.

La “peste” manca

Un velo di commozione per Cristiano: “Aveva dei problemi di salute che sembravano gestibili, ma eravamo in piena pandemia e purtroppo è morto da solo, senza possibilità di vederlo negli ultimi tempi. Un po’ per il Covid, un po’ il fatto che in quindici giorni si è precipitosamente aggravato tutto, non senza divergenze con i medici che lo avevano in cura. Purtroppo avevo capito che stava andando a finire male, anche su certe cose i protocolli sono stati messi davanti a tutto”. Pierino Prati era ricoverato in una casa di riposo nel comasco. Nel giorno del suo funerale, anche una sciarpetta della Salernitana (clicca qui per leggere). “Ha sempre parlato di quell’esperienza, dell’infortunio alla tibia contro il Savoia che lo tenne fuori per un po’. Sempre quel tifoso di Cinisello raccontava che rientrò un girone dopo, ritrovò il difensore che lo aveva azzoppato e gli fece ancora golaggiunge Prati Jr. – Sapere che papà è ancora così amato a Salerno mi dà tanto orgoglio: è bellissimo trovare gente che ricorda tutto, a distanza di 55 anni. Anche a Roma e Savona, sebbene lì non abbia vinto niente, è entrato nel cuore di una generazione”. Già, al di fuori del Milan, Prati vinse solo in granata. Ha giocato anche con Savona, Fiorentina e Rochester, parentesi statunitense.

Un altro calcio

“Io non sarò allo stadio domani, non sono tifoso del Milan, bensì della Fiorentina: avevo 8 anni e papà mi portava con sé, palleggiavo con Antognoni e Giovanni Galli. Ho chiamato mia figlia Viola, pensate un po’. Però simpatizzo per tutte le squadre dove ha giocato papà. Per Milan-Salernitana sarò comunque spettatore in tv e resterò… neutrale, ma auguro ai granata di salvarsi in un campionato molto duro. Forse a San Siro non è l’occasione ideale per fare punti, spero comunque in una prova d’orgoglio”, ancora Cristiano Prati. Ma il calcio ha fatto abbastanza per ricordare Pierino? “Credo di no, per personaggi come lui, Bellugi, Anastasi si doveva fare di più. La società, e con essa il calcio, viaggia a velocità talmente elevata che le memorie si perdono subito ed è un peccato. Mio padre è stato comunque l’unico italiano a siglare una tripletta in finale di Coppa dei Campioni (28 maggio 1969 a Madrid in Milan-Ajax, nda) e penso che abbia lasciato un ricordo indelebile nelle menti di tutti gli sportivi, chi l’ha visto giocare e chi no. Sono personaggi che la gente pensa non siano mai esistiti – aggiunge – Una volta papà mi raccontava che in ritiro giocava a tressette con i giornalisti al seguito. Ora non ce lo vedo proprio Ibrahimovic a fare la stessa cosa, tanto per dire un nome che va per la maggiore. Abbiamo i procuratori, i social, tante di quelle distrazioni e distorsioni. Bisognerebbe tornare alla semplicità del calcio, quando si giocava per strada ed i più bravi arrivavano per meriti in Serie A, grazie agli osservatori; gli stadi erano pieni e ci si andava in giacca e cravatta. Ora in Serie A ci gioca anche gente che non ha nessun titolo ma ha solo un buon procuratore. Tanto per dirne un’altra, papà andò con mia madre in sede alla Fiorentina per firmare il contratto ed era il 1978, non la preistoria del calcio”.

La giacca strappata e le terapie sul lungomare

Per Pierino “la peste”, il totale è di 209 presenze ufficiali con la maglia del Milan e 102 reti segnate. Un vero e proprio simbolo del diavolo… sempre attaccato al cavalluccio. Nell’intervista rilasciata al Mattino in occasione della sua ultima visita a Salerno, ha sempre ricordato di essere stato “accolto come un figlio. Feci doppietta all’esordio contro il Lecce e l’entusiasmo fu tale che i tifosi mi strapparono la giacca che avevo appena comprato grazie ai miei primi guadagni“. Bruno Carmando lo portava sul lungomare a fare lunghe passeggiate in stampelle per provare ad accelerare la guarigione dopo la frattura di tibia e perone: “Lì per lì ero scettico, ritenevo che quell’esercizio avrebbe peggiorato le cose, ma erano altri tempi e così Carmando mi rimise in piedi. Anche per questo la Salernitana mi è rimasta nel cuore: era già allora una piazza capace di prepararti al grande salto, come capitò fortunatamente a me“, ricordò sorridendo. Era il 29 maggio del ’66 quando lo 0-0 a L’Aquila regalò il sogno del ritorno in B alla Salernitana. “Andiamo in B, geghe geghe geghegè”, cantava la città sulle note di Rita Pavone. Altri tempi, altre note, altri uomini. Sabato da lassù sul prato del Meazza ci sarà un’occhiata in più.

 

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