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Il calcio si divide: prende corpo il fronte di chi non vuol più giocare

Mentre i vertici federali e di lega, con Gabriele Gravina in testa, continuano a sperare in una ripresa dei campionati a maggio (“Mi andrebbe bene anche il 20”, dice il numero uno della Figc, clicca qui per leggere l’articolo), inizia a prendere corpo e a raccogliere virtuali adesioni la corrente dei presidenti che – calcolatrice e notizie sulla salute pubblica alla mano – ritengono che a questo punto sia meglio non giocare e studiare misure (sportive ed economiche) che possano consentire un arrivederci al 2020/21 fin da adesso, scontentando il meno possibile le parti in causa nel sistema calcio. Che sono tante, dai calciatori agli allenatori, passando per presidenti, medici, arbitri, dirigenti, tifosi e semplici dipendenti dei club sportivi.

In prima istanza, la legittima preoccupazione per lo stato di salute del Paese e per la diffusione del virus tutt’altro che controllabile allo stato attuale. Impossibile fare delle previsioni e anche quando i dati potranno iniziare a dare un conforto scientifico, sarà buona norma evitare di abbassare la guardia. Ragion per cui, si giocherebbe quasi certamente a porte chiuse, in estate, con tanti disagi. Ne varrebbe la pena, si chiede qualcuno? Più di un presidente nel professionismo ha mostrato serie perplessità, sia in B che in A. Proprio la lega della massima divisione ieri si è riunita in videoconferenza (con l’ennesimo scontro tra Lotito, che spinge per la ripresa, e Agnelli).

Anche in Serie B sembra diffondersi la convinzione che è meglio andarci cauti. Fermarsi e riprendere direttamente l’anno prossimo, per alcune società, potrebbe sicuramente rappresentare un danno sotto ogni aspetto. Ma, nello stesso tempo, sarebbe il male minore. Si pensi alle squadre che hanno, bene o male, quasi consolidato una salvezza o sono ai vertici e per nulla interessate al salto di categoria. Oppure, viceversa, ai club che lottano per non retrocedere (o ci sono vicinissimi) e conseguenzialmente avrebbero tutto l’interesse a stoppare il torneo, ripartire dalla medesima categoria l’anno prossimo e magari beneficiare anche di strumenti economici di sostegno da parte del Governo, oltre che del paventato taglio degli stipendi del 30%. Insomma, tra salute pubblica ed economia che salterebbe (giocare a giugno e luglio parzialmente a porte chiuse comporterebbe perdite ai botteghini e comunque spese maggiori con ripercussioni sulla stagione 2020/21) oltre alle possibili date di ripresa il calcio nei prossimi giorni si troverà ad affrontare anche il fronte di chi preferisce, argomentando, archiviare anzitempo la stagione.

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