Stabilità, solvibilità e sostenibilità sono i pilastri del progetto di Gabriele Gravina, tre ingredienti per rialzare e rilanciare il calcio nostrano. Il numero uno della Federcalcio è stato protagonista questo pomeriggio nell’ateneo Luiss di Roma, impegnato in una lecito magistralis con Paolo Ciabattìni, esperto di Sport Business, e moderata dall’ex calciatore Guglielmo Stendardo. In un momento di grandi discussioni in Lega, Gabriele Gravina è intervenuto sul tema della “sostenibilità del business calcistico ad alti livelli”, argomento ampiamente toccato dallo stesso Danilo Iervolino qualche settimana fa sulla stessa cattedra dell’università capitolina. Nonostante ben tre club a rappresentare il tricolore tra le prime otto squadre d’Europa, il massimo campionato italiano è in perdita (4 miliardi rispetto alla Premier League). “Dopo i processi a Gesù e San Francesco, si arriva alla FIGC” ironizza il presidente Gabriele Gravina dopo i primi minuti di lezione tenuti da Paolo Ciabattìni ad evidenziare le carenze dell’attuale sistema calcio.
Squilibrio finanziario
Fino al 1997 il fatturato della A era in linea con quello inglese, che nel frattempo ha preso il sopravvento assieme a Liga e Bundesliga. Anche sui diritti tv si fa fatica: 1 miliardo e 200 milioni di euro incassa il campionato italiano, la Premier oltre i 4. La storia è sempre la stessa da anni: gli stranieri in Serie A sono il 60%, mentre se si scende a livello giovanile rappresentano ben il 35% nelle “cantere” dei club di A. In Inghilterra gli stadi si riempiono al 97%, passando al nostro Stivale la percentuale scende al 71%. “Viviamo in una fase di transizione” ha dichiarato l’ex presidente della Lega Pro. “Quando si parla di crisi in maniera generica non si ha la soluzione da applicare a quel periodo di transizione. La crisi entropica porta il sistema a collassare, questa la si può risolvere non con una norma o con una rateizzazione, ma la si può affrontare solo cambiando il senso, la direzione e la cultura. Anche con la caduta dell’Impero Romano si è avuto un cambiamento generale. Siamo oggi in un passaggio critico, la sostenibilità non è l’unico pilastro su cui ci si può basare. La sostenibilità porta a una crescita che non è la panacea di tutti i mali, bensì richiede un mettere sotto controllo in primis i costi. Solvibilità e stabilità sono gli altri due pilastri. Bisogna mettere in moto un meccanismo di rispetto delle proporzioni”.
Negli ultimi 10 anni il sistema calcio italiano è stato sempre in perdita, tranne nel 2017, quando ha chiuso l’anno con 100 milioni di utili. Ma è un settore strategico, che dà all’erario circa 1,5 miliardi di euro: “Sono numeri che conosciamo, vanno posizionati in maniera più puntuale in dinamiche nazionali e internazionali. Importante è l’idea di aprire al mondo della formazione e dell’informazione un mondo che per diverse ragioni ha avuto sviluppo molecolare, che si è sganciato dalla dimensione sociale ed etica. Mondo del calcio ha valore significativo sotto il profilo della dimensione economica. La sostenibilità è il paradigma del progetto legato a uno sviluppo sostenibile. Lo sviluppo significa togliere dal viluppo, dalle catene. L’idea dello sviluppo sostenibilità significa ipotizzare rapporto legato al concetto di libertà. Tutta questa dimensione economica si inserisce in una legge fondamentale, l’economia di mercato”.
“Il mondo del calcio ha una dimensione economica straordinaria. È un settore che coinvolge ben dodici settori merceologici diversi. Ci sono disavanzi di bilancio che non vengono coperti per intercessioni, ma sono le proprietà a versare denaro per ripianarli. Ad esempio, la Juventus ha chiuso con un disavanzo importante, ma negli ultimi anni ha anticipato come finanziamento soci circa 700 milioni di euro. Il calcio gestisce una partita ogni 55 secondi in Italia”.
Il numero uno della FIGC non apprezza le riforme che si susseguono sul lato normativo: “Quando si parla di numeri preoccupanti non sono sereno, mi sveglio con questi numeri in testa. Stiamo cercando di porre rimedio, non dimenticando che ci sono risoluzioni a livello governativo e a livello europeo che impediscono al mio mondo di adottare dei provvedimenti necessari. Non siamo astati aiutati dalle norme del governo italiano che ha previsto la rateizzazione. Per me non è un vantaggio, è un grosso errore. Quello che è stato concesso al calcio a dicembre è ciò che la mia azienda privata, come gruppo Gravina, ha già portato a casa. Sono penalizzanti le norme che hanno previsto la rivalutazione a titolo gratuito degli assets, così come il 2409 con la copertura delle perdite. Il sistema dei controlli non è stato effettuato in modo opportuno. Le perdite del 2020 sono state rinviate al 2025, quelle del 2021 al 2026. Stiamo combattendo contro l’applicazione del codice della crisi d’impresa, che prevede la ristrutturazione del debito”.
Capitolo riforme e 2032
“Le riforme sono all’ordine del giorno. Lunedì cominceremo una serie di verifiche: tamponare l’invasione del codice della crisi d’impresa. Stiamo preparando un piano industriale non dimenticando che la figc ha dimostrato capacità incredibile, ha implementato senza advisor i suoi ricavi di 120 milioni di euro. Una parte di queste risorse vanno ai vivai e alle infrastrutture. Ci sarà un fondo che sosterrà questo tipo di investimenti, anche sui centri sportivi oltre che sugli stadi. Sui giovani abbiamo avviato un progetto importante: un dipartimento tecnico guidato da Roberto Samaden, che si è appena dimesso dall’Inter. Manca solo un elemento: la rivoluzione culturale che è la pre-condizione di tutto ciò”.
“Stiamo lavorando per far si che ci sia attenzione al contenimento dei costi. Il Napoli sta facendo un grandissimo campionato per scelta politica ma per necessità, quindi grazie alla crisi. Quando ha avuto possibilità di togliere contratti onerosi l’ha fatto comprendendo di non essere più in grado di reggere quei costi di lavoro. Da lì sboccia la progettualità. Di necessità bisogna fare virtù, lo spirito italiano ci porta a fare questo. Quando si parla di cambiamento nelle riunioni in FIGC, tutti vanno sulla difensiva e questo non è più possibile”.
“La candidatura ad Euro 2032 ci costringerà a proiettarci verso il futuro. Se partiamo da ottobre 2023 quando ci sarà l’assegnazione, gli stadi li avremo dopo tre quattro anni. Vedo un attivismo significativo tra le diverse realtà chiamate in causa. Sono realtà che cominciano a capire che gli asset delle infrastruttura e dei vivai formeranno il calcio del futuro”.
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