Ancora ventiquattro ore di attesa per l’incontro tra il mondo del calcio e il Governo. La Figc e le leghe di Serie A e B sperano nel via libera al protocollo sanitario e conseguentemente alla ripresa dei campionati, anche se a più di una società converrebbe chiuderla qui, sia per motivi meramente economici che sportivi. Anche tutti e due. Nel computo del sistema, invece, le perdite che lo stop definitivo genererebbe sarebbero enormi. Mille cautele e… polemiche, soprattutto in merito ai casi di positività che obbligherebbero le squadre ad andare in quarantena per 14 giorni, mentre alcuni medici – tra cui quello della Lazio – si oppongono e sperano almeno in una riduzione in sette giorni. “Sulla ripresa del campionato forse potrei anche scommettere, ma sulla sua conclusione, da medico e da persona molto legata al calcio, ho qualche dubbio: una positività può arrivare e allora con la norma dei 14 giorni la vedrei come la fine del campionato”, ha detto a Radio Capital il professor Enrico Castellacci, presidente dell’associazione dei medici di calcio che si è sempre mostrato molto cauto sull’argomento ripresa. La notizia della sospetta positività di un membro della dirigenza del Bologna, venuta fuori nelle ultime ore, chiaramente non aiuta.
E poi c’è il discorso orari: partite compresse, pochi giorni a disposizione, necessità di rispettare esigenze televisive (con Sky e Serie A in rotta, nda). I calciatori rifiutano categoricamente la possibilità di giocare prima delle 18. “Una delle criticità maggiori che speriamo di risolvere è la partita alle ore 16,30 che in Italia a giugno e luglio non è pensabile: oggi abbiamo atleti che dovranno fare partite ravvicinate e intense dopo un lungo periodo di inattività e quindi li dobbiamo mettere nelle condizioni migliori, anche dal punto di vista climatico”, ha detto Damiano Tommasi al Mattino. Il presidente dell’Assocalciatori, si è poi espresso sulla ripresa e sulle tutele mediche: “Tutti noi non ci aspettavamo queste aperture così veloci delle attività, segno che le cose stanno andando per il verso giusto e, toccando ferro, ci auguriamo che la situazione migliori di giorno in giorno, senza allentare la guardia perché il pericolo è sempre dietro angolo. Ai calciatori, oltre alla loro tutela, interessa anche quella di chi sta vicino alla squadra e lavora al loro fianco. Quando si parla di salute l’attenzione è anche rivolta ai possibili infortuni per il ritorno in campo dopo un lungo periodo di inattività. I protocolli di sicurezza sono molto stringenti e per noi l’importante è che si ci sia uniformità nel rispetto dei controlli, perché nel momento in cui ripartirà il campionato e si ricomincerà a viaggiare, tutti dovranno avere lo stesso trattamento. Viviamo in un paese dove il problema non è risolto, i calciatori non sono robot e quindi è chiaro che ci siano delle preoccupazioni, che riguardano non solo il virus, ma anche il fatto che se riparte il campionato si dovrà giocare ogni tre giorni. Chi decide di ripartire non è chi va in campo, ma chi si siede davanti alla televisione e in campo manda altri. Se i calciatori esprimono le loro perplessità, non significa che non vogliono giocare, ma lo vogliono fare in una situazione normale di sicurezza. Se si dice che in panchina bisogna andare distanziati e poi in campo i calciatori si possono marcare su un calcio d’angolo ma non abbracciare dopo un gol, non è una condizione di normalità. Magari tra un mese ci saranno condizioni diverse quindi potrebbero cambiare anche le possibilità di allenarsi, giocare e risolvere tutte le criticità”.
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