Attaccante dalla qualità rara, Arturo Di Napoli è per questo rimasto nel cuore dei tifosi della Salernitana dopo le due stagioni passate con la maglia granata in cui ha ottenuto una promozione in Serie B e la successiva miracolosa salvezza. Ma Re Artù non era solo questo, era anche una testa calda e ce lo ha raccontato nel corso di una diretta Instagram. Ora però è costretto in casa come tutti: “Qui, vicino Milano, è così da più di due mesi. Mi manca il quotidiano, mi manca abbracciare mia madre ed è brutto dover spiegare perché esco per andare a prendere mio figlio. Il 4 maggio voglio uscire, ne ho bisogno, ma la nostra vita sarà condizionata per un grosso periodo”.
Anche la storia di come ha firmato per la Salernitana è un’avventura: “È stata una battaglia, lo volevano tutti, Lombardi, Agostinelli, ma soprattutto Fabiani che venne di persona a Messina di notte in ritiro per portarmi a Salerno. Gli va dato merito anche se poi ci siamo lasciati con un po’ di conflitto. Vittorio Murolo l’ho conosciuto successivamente, alla fine è quello che ha garantito il mio contratto. È stato complicato perché serviva aiuto ma quando le parti hanno lo stesso obiettivo e collaborano si riesce a raggiungerlo. Poi quell’anno si doveva vincere, se non avessimo vinto saremmo dovuti scappare di notte sia io che Fabiani”.
Aneddoto simile riguarda anche il suo trasferimento al Piacenza: “Col Piacenza firmai alle due e mezza di notte mentre ero al casello di Milano. Avevo trovato l’accordo con il Verona con Prandelli che mi voleva a tutti i costi, ma il mio agente Andrea D’Amico mi chiama all’una e mezza, io ero in discoteca e gli dissi che la trattativa era fatta ma lui mi disse che a Piacenza mi avrebbero dato molto di più e allora mi convinsi e firmai sul cofano della macchina. La mattina dopo mi chiamò il Verona, ma non risposi più al telefono”.
La sua Salernitana era una squadra forte, ma fu comunque complicato riuscire a vincere il campionato: “Facevamo fatica a costruire gioco, ma avevamo una difesa forte, poi io e Ferraro in qualche modo segnavamo, quindi abbiamo vinto il campionato così, ma è stata dura. Turienzo? È servito anche lui, in un certo momento il suo apporto è stato fondamentale. La punizione col Taranto? Fusco mi venne a chiedere di non calciare in porta perché era molto distante, io guardai Milanese che era il mio bodyguard e lui mandò via tutti dicendo di lasciarmi concentrare, poi si girò verso di me e mi raccomandò di fargli vincere la partita”.
Questo anche perché Salerno e la sua tifoseria, sebbene spingano moltissimo, mettono anche tanta pressione: “La pressione era tanta perché ogni domenica dovevi andare in campo per vincere, non ti potevi accontentare. Ricordo che con l’Ancona tra primo e secondo tempo eravamo tutti tristi. Io chiesi di dire qualcosa alla squadra a Luca Fusco che era e sarà sempre il simbolo di Salerno e quindi ci teneva particolarmente, lui mi disse di non preoccuparmi perché ci avrebbero pensato loro. Poi lui di solito era quello che più metteva ansia, anche perché era malato per la Salernitana, però in campo era un leone, ci ho vinto tre campionati e penso che lui ha fatto meno di quel che avrebbe meritato”.
E qui inizia ad emergere la personalità del bomber fuori dal campo, a partire dal rapporto con gli allenatori: “Agostinelli lo salvai due volte. Brini l’ho sentito poco tempo fa commentandogli una foto in cui era vestito da soldato, gli ho detto che finalmente avevo capito perché non avevo mai visto i suoi denti. Non l’ho mai visto sorridere, ma senza di lui non so se avremmo vinto. Era severissimo. In allenamento non potevi ridere, mise tanti paletti, era un sergente di ferro. Una volta stavo facendo colazione con cappuccino e brioche e venne Italo Leo che mi disse che non potevo più prenderlo, io dissi al dottore che facevo così da agosto ma lui rispose che col mister non potevo scherzare. Ricordo anche che per un paio di partite di fila fui sostituito e mi andai a lamentare con Fabiani, lui mi disse che ero grande e di risolvermi il problema da solo. Solo questo doveva dirmi, mi presentai da Brini, dissi ai suoi collaboratori di uscire perché dovevamo parlare da soli e gli dissi che se mi sostituiva un’altra volta me ne sarei andato e lui non mi ha mai più tolto dal campo. Non ne vado fiero, ma in quel momento ero già maturo, gli dissi che il motivo per cui mi gestivo era che avevo una certa età e giocando tutto il campionato rincorrendo tutti non ce l’avrei fatta anche a segnare. Lui capì e si scusò, infatti nelle ultime partite segnavo sempre a fine gara, quando le difese si stancavano e i ritmi calavano”.
Non mancavano le bravate: “Io facevo stare bene il magazziniere che è importantissimo per un calciatore, e facevo stare bene il dottore che doveva essere mio complice quando non ce la facevo ad allenarmi. Poi in ritiro mance ai camerieri non potevi farle mancare per poter fare uno strappo alla regola. Comunque durante la settimana mi comportavo seriamente, poi domenica e lunedì che erano liberi ero l’anticalcio. Nel calcio essere belli è un problema, perché diventa un lavoro extra-calcistico. Nella Salernitana non avevo rivali perché Soligo era innamorato della propria famiglia. Una persona corretta e squisita, tra le più vere che abbia mai conosciuto, a volte mi chiedevo cosa ci facesse nel mondo del calcio una persona così”.
Qualcuno poi immagina una coppia gol composta da Di Napoli e De Cesare: “Mi sarebbe piaciuto avere un uomo come Ciro De Cesare nel mio spogliatoio. Purtroppo non abbiamo mai giocato assieme. Lo stimo, ha i suoi modi folkloristici di dire le cose ma è un tipo schietto, pane al pane e vino al vino”.
Ma la carriera dell’ex calciatore milanese è fatta anche di momenti molto brutti, come l’accusa di calcioscommesse da cui è poi stato completamente scagionato: “Per me sono stati anni di sofferenza perché ebbi anche problemi di salute, mi separai, un momento davvero particolare dove si sono accumulati vari problemi. Mio figlio è stato una luce. Mi ero chiuso in me stesso e ho messo la mia salute a rischio. Il fatto che mio figlio che stava crescendo mi chiedesse perché i suoi compagni di scuola mi conoscessero e mi chiedeva di fargli vedere le mie foto e i miei gol mi aiutò a trovare la strada. Essere associato a queste porcate, che vorrebbero dire anche tradire i miei tifosi come quelli di Messina e Salernitana che mi hanno dato gioia e amore, mi fece venire brutti pensieri. Risale a quel periodo quando non volevo venire a Salerno perché non volevo rischiare di rovinare la festa della promozione, ma mi convinse Sasà Avallone che mi disse di venire a prendermi l’abbraccio della gente. E quella è stata la spinta per tornare a vivere, semplicemente tutta quella gente che mi ha mostrato affetto, ho ancora i brividi. Sasà non so come avesse tutta quella pazienza. Una persona competente, uno così funzionale in una squadra non se ne trova, poi era uno dei nostri, nei momenti difficili uno dei pochi che partecipava alle nostre riunioni”.
Anche il secondo anno con la Salernitana, nonostante i 13 gol segnati, fu un’esperienza spiacevole: “Quello che subivo a Salerno quell’anno era follia, fui bendato e minacciato all’uscita di un ristorante perché dicevano che mi vendevo di tutto. Mi dissero di tutto, mi chiamarono mercenario, Lombardi e Fabiani non mi facevano allenare con la squadra e io facevo i giri di campo fuori dal Volpe da solo. Alla fine lasciai i soldi sul tavolo e non voglio dire quanto perché per come la vedo oggi mi riprenderei tutto con gli interessi”.
Altra storia l’anno precedente, quando invece per la promozione, a cui contribuì con 21 reti, fu premiato con un automobile in regalo: “Successe già a Messina, il presidente mi promise quello che volevo per la salvezza, io gli dissi che ero andato lì per la promozione non per la salvezza e alla fine mi regalò la macchina, ma avrei dovuto chiedergli una nave perché quando arrivai eravamo ultimi e mi avrebbe dato qualunque cosa. Murolo a Salerno fece lo stesso, alla fine mi chiese cosa volevo, lui era venuto con la Ferrari Scaglietti e io gli dissi che volevo quella, lui me la diede davvero. Se Murolo aveva le facoltà per tenere la Salernitana da solo? Tranquillamente, ma andò via perché non gli piacquero certi comportamenti e lui ci ha rimesso molto più di me”.
Proprio per le vicissitudini che ha passato, ora l’ex attaccante raccomanda alla gente di Salerno di tenersi stretto un presidente come Claudio Lotito: “Lotito ha degli interessi per cui è follia pensare che non voglia la Salernitana in Serie A perché c’è la Lazio. Il popolo granata deve capire che non deve farselo scappare, perché ha sostanza e competenza e oggi la Salernitana non è a rischio fallimento. La Salernitana ha tutte le carte in regola anche per vincere i playoff, tifo per loro. Ai giovani serve tempo anche per capire i tifosi, che a Salerno sono malati, in senso buono, ma lo fanno per spingerli e non per mettergli paura. Ventura? Con lui litigai a Messina, ma io ho litigato con tutti i miei allenatori perché ero stupido e accecato, semplicemente non mi andava giù che non giocavo. Da calciatore ho reso un quarto di come avrei potuto, ho fatto quindici anni di Serie A ma se avessi dato il massimo potevo stare venti anni all’Inter e in Nazionale, ero giovane ed ero fatto così. Ironizzo perché altrimenti darei le testate contro il muro. Infatti lo dico sempre ai miei ragazzi, perché oggi alleno anch’io e il mio sogno è sedermi sulla panchina della Salernitana, prima o poi ci riuscirò, pure se fosse solo per un amichevole con i giornalisti. Comunque Ventura è uno degli allenatori più forti in circolazione”.
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