Ci sono sagome che non hanno bisogno di colori o dettagli per essere riconosciute, amate, riprodotte quasi a memoria anche solo da chi disegna con la mente. Le riconosceresti anche solo dal contorno. La coordinazione unica di Agostino Di Bartolomei al tiro è fra queste.
Domenica c’è la Roma. Chiudi gli occhi e ti viene in mente quel ‘destro’: braccio sinistro in avanti, piede di tiro perfettamente proteso, l’altro sulla punta. Puoi sentire anche il suono della palla colpita di collo, perfettamente. La magia delle foto giuste, a quarantotto ore dalla partita nel segno dell’indimenticato campione, che il 28 agosto dell’88 giocava la sua prima a Salerno con la maglia della Salernitana. Era Coppa Italia di C, finì 0-0 contro il Benevento al Vestuti, dopo un ritiro svolto a Cascia. Corsi e ricorsi storici. Dici cavalluccio, dici lupacchiotti, dici Di Bartolomei. Per il prossimo match all’Arechi ci saranno anche Luca e Gianmarco, i figli. Agostino è ancora negli occhi, nel cuore, nella mente di chi ha esultato con lui, per lui. All’Olimpico, come a Salerno. Oggi avrebbe 66 anni.
Di Bartolomei con Matteo Mancuso
Si giocherà in notturna, “però metterò lo stesso grandi occhiali neri. Non so che tipo di emozioni proverò, ma saranno sicuramente forti. Ultimamente ho anche la lacrima facile, sarà che sto invecchiando anzitempo”.Luca Di Bartolomei porterà all’Arechi anche suo figlio Andrea, 8 anni (foto in alto). “È tifoso romanista, sarà la prima in trasferta per lui. La sorellina Anna, che ha 5 anni e mezzo, è ancora piccina e resterà a casa. Mia madre, Marisa, non ci sarà. Vivremo questa serata… per parti. A me farà piacere farlo in un posto che chiamo casa. – dice aprendosi in una lunga chiacchierata – Non so cosa dirò ad Andrea quando varcheremo i cancelli. Temo che sarà molto più lui a dire qualcosa a me. Non sarà facile trattenere le emozioni, ma credo che sia giusto esserci, oltre che doveroso nei confronti delle tante persone che hanno voluto bene ad Agostino, facendo silenziosamente sentire il loro amore alla nostra famiglia. Sarà una giornata per certi versi anche difficile, magari un po’ strana. Però sarà bella e molto familiare”. Allo stadio e fuori. “All’indomani faremo colazione insieme, magari a via Mercanti. Due passi con Andrea per Salerno e poi torneremo a Roma. Sarà un viaggio nei ricordi o forse un’esperienza da tramandare a mio figlio”. Che del nonno ha visto foto, sentito racconti. Forse non ancora completi. “Ha saputo di Ago molto più delle persone esterne alla famiglia che da noi. Non abbiamo affrontato tanti argomenti. Dovrò farlo, sarà difficile. – racconta Luca – Un giorno mio figlio mi chiese perché non gli avessi mai detto che il nonno giocava a pallone. In quel momento molto particolare ho capito che comunque avrei dovuto fare i conti con questa cosa e che avrebbe dovuto farli anche lui. A 8 anni i bambini di oggi sono più svegli di quanto lo eravamo noi. Sono sicuro che abbia già consapevolezza del nonno ben più grande di quella che immagino”.
Luca ha portato e porta avanti il ricordo del padre in tutti i modi. Cinema, libri, iniziative. In occasione del centenario granata, Marco Mezzaroma annunciò la costituzione di una hall of fame nel ventre dell’Arechi, partendo proprio da Di Bartolomei come primo tassello. Poi non se n’è fatto più nulla. “Con Marco c’è una grande amicizia e ci tengo a fargli i complimenti per lo straordinario percorso. Qualche anno fa Agostino fu celebrato con la maglia speciale per la Coppa Italia di Serie C, con una raccolta benefica pure. Per fortuna sua e nostra, Ago è un patrimonio di Roma ma anche di Salerno e tutto ciò che ancora può essere fatto per questi luoghi del cuore della nostra famiglia sarà per noi solo una gioia”, aggiunge. È nato nel 1982, ha 39 anni. La stessa età che aveva DiBa quando decise di andarsene per sempre, quattro anni dopo aver smesso di giocare. Forse troppo semplicisticamente, raggiunto questo scoglio… che pensa Luca? “Ne pensassi una sola di cose”. E giù un sospiro. Poi, la risposta lunga ed articolata: “Soprattutto quando diventi genitore, più vai avanti e più tendi a essere molto meno netto nei confronti dei giudizi che davi di tuo padre. Crescendo, mi sto relazionando in maniera diversa a tutta una serie di interrogativi con i quali, giocoforza, non finirò mai di convivere. Più vado avanti e più mi rendo conto che trovo dei motivi per essere più indulgente nei confronti di Agostino”. Che uomo è diventato oggi Luca? “Quello che il Luca di vent’anni fa non voleva essere, ma anche quello che inevitabilmente doveva diventare. Non sono felice di me stesso, come credo quasi nessuno. In questa mia condizione abbastanza comune mi piace leggere lo sguardo felice dei miei figli e capire che c’è una quantità di opportunità e possibilità che abbiamo nella nostra vita. Sono in qualche forma lì davanti a noi, anche se non subito disponibili, anche quando sfumano. Se lo fanno, è perché diventano qualcosa di diverso”.
Agostino e Marisa Di Bartolomei
Salernitana-Roma. L’ultimo amore calcistico di Ago che ospita il primo, il più grande. Nella capitale era nato, cresciuto e diventato idolo. A San Marco di Castellabate – nel Cilento che ancora oggi è anche “suo”, da località di origine della moglie – si era ritirato dopo la carriera calcistica, per poi decidere di mettere la parola fine quel maledetto 30 maggio 1994. Al precedente del 1998/99 Luca non mancò. “Anzi, ai precedenti. Ero anche all’Olimpico alla prima di campionato. Sarà bello esserci e ringrazio la Salernitana che… mi ha fatto pagare. Ho un po’ di manie e una di queste è non avere biglietti gratuiti. Ho insistito, so che Gianluca Lambiase (l’addetto stampa, nda) ha dovuto fare i salti mortali, perché sarebbe stato più semplice regalarmeli. Ma credo che il lavoro anche di chi è nell’ombra e consente la ripresa degli eventi sportivi vada pagato. Anche se mi è toccato contravvenire alle richieste della Salernitana”. Sorride. È pur sempre un residente nel Lazio e l’Osservatorio del Viminale ha posto paletti precisi. Sul campo chi vincerà? La Roma parte ovviamente favoritissima. “Sono orgogliosamente tifoso giallorosso, ma non posso negare di guardare con infinito amore e gratitudine alla Salernitana. – risponde – Onestamente non credo che la Roma abbia le carte in regola per puntare allo Scudetto: l’organico non ha ancora probabilmente quello che serve, rispetto a Inter o Juve. È arrivato Mourinho, vero, ma in una piazza del genere non si vince in un anno. Bisogna cambiare la mentalità in una fetta di persone molto più grande rispetto alle trenta che hanno rapporto col campo; un cambio che deve riguardare società, città, tutto ciò che ruota intorno alla Roma. Forse sarà un anno di assestamento. Mou però, come Capello e Liedholm, sarà in grado di vincere il titolo prima o poi. La Salernitana troverà un avversario ostico ma la ritengo una buona squadra, ben allenata, ben diretta. Ora il trust ha modificato le cose a livello societario, ma la precedente proprietà ha operato molto bene. L’augurio è che possa salvarsi e credo che abbia i requisiti giusti. Chiaramente, l’impatto con la Serie A è psicologicamente diverso. C’è da dire anche che la Salernitana ha un bacino di tifosi che ha sempre costituito un qualcosa che difficilmente si trova in piazze analoghe in A. La tifoseria è davvero il… tredicesimo uomo in campo”. In un calcio – quello delle partite in streaming che hanno soppiantato la famelica attesa dell’annuncio dello speaker con i risultati dagli altri campi, oppure con cuffie e radiolina – che di romantico riesce sempre a trovare qualcosa in piazze passionali come Roma e Salerno. “Resta tale solo ciò che è legato al tifo, alla passione. Sono molto rari gli esempi di romanticismo nei comportamenti di calciatori o società”, la chiosa di Luca Di Bartolomei: “Vedo troppi fenomeni poco eleganti, come a volte può essere perfino quello di un giocatore appena arrivato che bacia la maglia perché sa che in questa maniera sembra più ‘figo’. Oggi credo che romanticismo siano narrazione e parole dei tifosi, non per forza racconti di un passato ma anche di un presente, delle piccole cose che ci fanno stare dietro a questo circo abbastanza volgare che il calcio è diventato nel nostro Paese. La triste osservazione è che altrove le cose continuano ad andare meglio”. Ma per 90’ domenica il cuore batterà forte lo stesso.
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