Cinque anni dopo, Fabrizio Castori si è goduto di nuovo il Natale da capolista in Serie B. Come è stato lo spiega in un intervista per la Gazzetta dello Sport: “Ci siamo allenati, non potevamo fermarci – racconta il pragmatico mister dei granata – Le differenze con quel Carpi? La piazza è diversa, il Carpi era fatto di giovani. Qui cambio spesso modulo, ci aiuta. A Carpi invece ho sempre usato il 4-4-2. Nessuno ci credeva e siamo arrivati in fondo, correndo come matti con ritmi infernali senza fermarci mai. C’è scetticismo anche ora, ma conta fare punti. Dicono che le altre sono più forti, ma noi continuiamo a farne“.
Un anno fa invece era appena iniziata la sua avventura a Trapani, conclusasi amaramente dopo una cavalcata storica, effetto anche dell’arrivo dei suoi fidati scudieri, alcuni dei quali sono stati vicini alla Salernitana in estate: “Ero preoccupato, eravamo spacciati, ma il mercato di gennaio ci ha aiutato, è arrivata gente che conoscevo come Dalmonte, Buongiorno e Coulibaly. È stato un capolavoro, abbiamo creduto nel miracolo e l’abbiamo centrato. Una media punti clamorosa (33 in 22 partite, ndr), da promozione, un vero peccato. Cosa cambia nel lottare per la promozione? La Serie B è molto dura, quest’anno ancora di più. Si ottengono risultati giocando sempre al massimo, con gamba e freschezza. Non conta la classifica, bisogna essere pronti dal punto di vista fisico. I concetti restano gli stessi, bisogna tenere equilibrio, senza deprimersi o esaltarsi, qui nulla è scontato“.
La Salernitana si è distinta pure nella gestione della pandemia: “Conta avere una società attenta e noi l’abbiamo. E conta uno stile di vita gestito con professionalità. Bisogna fare tante rinunce, ma se vuoi fare il calciatore ti devi concentrare su ciò che conta, chi gioca è un privilegiato, ricordiamolo. Tifosi all’Arechi? Lasciamo perdere, l’Arechi pieno sarebbe stato una bolgia“. L’isolamento dei granata non è stato solo quello causato dal Covid, il gruppo ha provato anche a stare lontano da tutte le contestazioni dirette alla società: “Sin dall’inizio abbiamo cercato di stare fuori da questa polemica, ci siamo isolati e abbiamo cercato di fare il nostro lavoro senza entrare in queste dinamiche. Lo stadio pieno però avrebbe aiutato parecchio“.
Insomma la ricetta di Castori funziona, nonostante si tratti di un classico in un mondo sempre alla ricerca di innovazioni: “Sono orgoglioso, sono fedele alle mie convinzioni. Continuo ad aggiornarmi, a seguire i colleghi, la curiosità verso nuove metodologie c’è sempre, mi piace essere informato. Ma le mie idee hanno sempre pagato, quindi non le cambio. Quali sono? Calcio aggressivo e verticale. Non mi piace il palleggio dei difensori, non mi piace il calcio orizzontale. Verticalizzare non è semplice, bisogna farcela attaccando lo spazio per arrivare il prima possibile alla porta avversaria. A me fa venire l’orticaria vedere il portiere che appoggia la palla al difensore per iniziare l’azione. È più difficile dare la palla all’attaccante che al tuo portiere. E per giocare in verticale bisogna correre, il campo è più lungo che largo, o sbaglio? Gli attaccanti che ho allenato io hanno fatto carriera, ultimi Pettinari, Lasagna, Inglese, Verdi, Mbakogu. Con me tirano di più in porta e non solo, giocano per la squadra“. Oggi è sfida generazionale al Penzo, Zanetti-Castori, il tecnico più giovane contro quello più anziano della B: “Ha gli anni del mio terzo figlio… Simpatico no? Rispetto queste generazioni, li studio, però poi faccio sempre il mio. Intanto non mi sento vecchio. Non ho la presunzione di dire che forse i giovani qualcosa dovrebbero imparare, anzi: spero che non lo facciano, se no poi mi battono! Lascio volentieri che continuino a giocare la palla al portiere…”.
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