C’è chi quella sfida l’ha vissuta da entrambe le parti, conoscendone il peso emotivo e il valore simbolico. Cristian Agnelli, foggiano doc, ha legato gran parte della sua carriera alla maglia rossonera, indossata dalle giovanili fino al 2002 e poi nuovamente nel 2009/10 e dal 2012 al 2019, diventandone uno dei volti più rappresentativi, avendo indossato anche la fascia da capitano; nel 2017 conquistò una promozione in B. Nel suo percorso c’è stato anche un passaggio importante alla Salernitana nella stagione 2006/2007, un anno rimasto vivo nei ricordi per l’ambiente e per l’intensità vissuta all’Arechi. L’ex centrocampista, tra le altre anche di Benevento, Sorrento e Cerignola, era in campo sia nell’ultima sfida tra le due squadre, il 23 dicembre 2018, decisa per i granata da un gol di Vitale, sia nella penultima, vinta con un netto 3-0 dai satanelli, il 21 dicembre 2017.
L’ex centrocampista, ora secondo di Alberto Aquilani al Catanzaro, ha aperto il suo intervento parlando del campionato e del momento delle due squadre. Nel Foggia milita il figlio Gerardo, classe 2006, centrocampista come il papà: “Seguo la Serie C con piacere, anche perché mio figlio gioca nel Foggia. I risultati possono sembrare altalenanti, ma va fatta una distinzione chiara: Salernitana e Foggia stanno facendo due campionati diversi. La Salernitana ha valori e obiettivi differenti. È vero che entrambe hanno faticato nell’ultimo periodo, ma il Foggia ha raccolto qualcosa in più rispetto all’inizio, mentre Salerno resta una realtà di alto livello”.
Agnelli non nasconde il legame emotivo con entrambe le piazze: “Essendo foggiano e avendo giocato tanti anni nella mia città, il Foggia mi suscita emozioni fortissime. Non c’è paragone. Però a Salerno ho vissuto un anno bellissimo, nel 2006/2007: facemmo un buon campionato e giocare all’Arechi fu davvero emozionante. È uno stadio affascinante, dove tornare anche da avversario ti fa sempre un certo effetto”.
Parlando dei granata, l’ex Foggia ha sottolineato qualità e prospettive: “La Salernitana è una squadra forte, con un allenatore valido. Faggiano ha costruito un organico importante e sono convinto che se la giocherà fino alla fine. In alto la classifica è apertissima e Salerno ha tutte le carte in regola per restarci. Bisognerebbe vivere lo spogliatoio per capire fino in fondo certe dinamiche. Io sono sempre stato un sostenitore del gruppo e dei leader. Alla fine sono i calciatori a scendere in campo, a risolvere i problemi e a vivere il momento della partita. Allenatore e società sono fondamentali, ma senza una squadra viva e compatta non si va lontano. E a Salerno, con il supporto del pubblico, queste energie possono fare la differenza”.
L’ex granata ha poi rievocato alcune partite vissute da avversario all’Arechi: “Ricordo un Salernitana-Foggia 0-3, ma anche un 2-2 con De Zerbi in panchina. In quella gara lo stadio era impressionante: negli ultimi minuti sembrava spingere il pallone in porta. Da avversario è durissima, serve grande personalità. Per fare punti a Salerno bisogna essere concentrati al massimo”.
Infine, una riflessione più ampia sul calcio e sulle responsabilità da parte dell’ex centrocampista: “Proporre un buon calcio è importante, ma senza mai dimenticare grinta e duelli. L’allenatore spesso diventa il capro espiatorio di tutto, ma bisognerebbe giudicare se una squadra è viva o morta. Raffaele è un allenatore che lavora tanto e bene. A Salerno vincere sempre non è semplice, serve equilibrio. Confido molto anche in Faggiano: difenderà le sue scelte, perché in piazze così grandi non è facile per nessuno”.