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Pinna numero uno di amarcord e speranze: “Salerno merita altro e qualcuno lo deve capire. A Crotone parai anche le mosche”

“Ciao Salerno”. Non poteva che iniziare così la lunga chiacchierata con Salvatore Pinna, portiere granata dal 2007 al 2009 entrato nel cuore dei tifosi granata nel giro di qualche mese. Un legame forte, quasi viscerale quello che lega l’ex portiere sardo – oggi preparatore dei portieri e, sulla carta, allenatore in seconda della gloriosa Torres – alla città di Salerno e alla sua gente.

Intervenuto ai nostri microfoni, Tore è partito dall’analizzare la situazione vissuta dal calcio e da tutti gli italiani alle prese con l’emergenza Coronavirus: “Prima di pensare al calcio ci sono valori più importanti, le persone, le famiglie. È brutto stare a casa, non poter stare in campo, non poter abbracciare gli amici, è una situazione anomala. Riprendere a giocare? Dobbiamo capire quando finirà questa situazione, se a giugno non dovessero esserci più contagi si tornerebbe a giocare con due partite a settimana per chiudere i campionati”.

Sulle misure per contrastare il dissesto economico dei club: “Sono d’accordo col discorso della cassa integrazione, per quanto riguarda i grandi club è giusto tagliare gli stipendi, soprattutto se pensiamo a quei padri di famiglia che guadagnano 1000 euro al mese. Spero che il governo faccia qualcosa in primis per la gente povera e ricordiamo anche i medici, i nostri angeli, che lavorano dalla mattina alla sera”. 

Si arriva al rapporto con la gente di Salerno, da subito legatissima al portierone sardo: “I ragazzi della Curva Sud non sono passionali solo sugli spalti ma hanno sempre risposto presente quando la città ha avuto qualche difficoltà. E il discorso vale per tutti perché tra i tifosi ci sono tante storie, c’è chi arriva dalla strada, persone vere e sincere”.

Inevitabile ricordare la sua magica avventura in granata, scandita da alcuni momenti unici come le partite di Crotone e Castellammare di Stabia: “È stata in quella partita di Crotone che è iniziata la mia consacrazione a Salerno, ne parlavo qualche giorno fa con Mino Caputo. C’era Ghezzal che tirava da ogni posizione, al 93′ scarta un difensore e la mette a giro nel sette ma avevo i razzi in quel posto… ancora oggi quando guardo la foto di quella parata mi chiedo come sono riuscito a prendere quella palla, parai tutto, anche le mosche. Con la Juve Stabia? Anche quel giorno ho fatto tante parate, infatti riguardo sempre quella partita. Avevo un grandissimo preparatore come Gigi Genovese, una persona preparatissima, sa quando ti deve toccare e quando deve lasciarti stare. Un fenomeno!”.

Una stagione segnata anche da momenti difficili: “Quanti giorni passammo in ritiro? Centotrentacinque? Da Sorrento andammo via coi blindati, ricordo che andammo a Roma e non avevo neanche le mutande. Ma vincemmo perché ci unimmo, con gente che aveva voglia di vincere, c’erano i salernitani Fusco, Russo, Cardinale. Io poi sono più ultras che giocatore, ho sempre rotto le scatole ai miei giocatori se non corrono”.

Si arrivò così alla festa promozione col Pescara: “Passai una notte insonne perché pensavo a tante cose, pensavo a vincere, a come dovevo comportarmi, pensavo al pienone. Sono uscito per il riscaldamento dagli spogliatoi e mi sono messo a piangere, ho visto la Curva e mi è venuto il nodo alla gola, avevo l’adrenalina e piansi. Prima dell’1-0 feci qualche parata, ad Arturo Di Napoli dicevo sempre di segnare perché a non farli prendere ci pensavo io.

 Alla fine arrivò il rigore di Sansovini, tra me e me dissi ‘Ora glielo paro il rigore’. Lui non mi guardava negli occhi, io ero freddissimo e ho fatto una della parate più difficili della mia storia a Salerno. Al triplice fischio è stato come fare l’amore con la donna più bella del mondo. Poi andai sotto la tribuna dove c’era la mia famiglia dove c’era sempre mia madre che era morta a 49 anni e sono andato a festeggiare lì sotto perché volevo far festa con lei e con Salerno. Erano giorni che non dormivo”. 

L’estate successiva Fabiani, allora ds granata, richiamò all’ordine Pinna: “Andai a casa dopo la promozione, Fabiani mi disse che dovevo arrivare in ritiro in forma ma arrivai con 7 chili di troppo. Le urla si sentirono anche a Salerno, mi misero a dieta e mangiavo solo minestre e verdure cotte. Cercavo di farmi amici i portieri e i membri dello staff per mangiare qualcosa di notte”. 

Un passaggio sulla Salernitana di oggi e sul suo portiere: “La squadra era partita bene, aveva avuto dei cali ma se si dovesse riprendere a giocare la classifica potrebbe anche migliorare la propria posizione.  Micai è un bel portiere, reattivo, gioca bene coi piedi. A Salerno un portiere deve avere gli attributi perché altrimenti al primo errore cadi. Ricordo che arrivai a Salerno in punta di piedi, pensavo di dover scappare di notte in caso di errore. Quando arrivi a Salerno devi avere l’atteggiamento di un guerriero, devi guadagnarti la stima e il rispetto in campo. In altre città sono venuto alle mani perché c’erano giocatori che guadagnavano tanti soldi e quando c’era da fare la guerra poi scappavano. Mister Ventura? Arrivava da un paio di momenti difficili, è venuto a Salerno con tanta umiltà e il suo lo  sta facendo”.

Parte dunque un appello alla società: “Salerno è una piazza che merita la Serie A perché non ha solo il blasone ma è anche una piazza capace di fare 40mila spettatori. In Serie A vedo tanti stadi vuoti, porta la Salernitana in Serie A e poi vediamo. Qualcuno deve capire che Salerno merita palcoscenici importanti, per quella maglia sono morti dei ragazzi e per questo merita di stare in alto, in un calcio importante. Salerno sa farsi capire, è una città che vive di passione. Se a questa gente, con tutti i problemi, gli tocchi la Salernitana è come se dichiarassi guerra”.

Infine un messaggio ai salernitani (e non solo) in questo momento di emergenza: “Ai salernitani dico solo di restare uniti anche in questo momento di difficoltà. Ne usciremo più forti di prima”.

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