Un arrivo a gennaio per rinforzare la squadra e la fascia mancina, con obiettivo playoff e promozione. Ma la Salernitana non girava e anche Lorenzo Pasqualini incontrò difficoltà. L’esterno che veniva dal Parma ebbe pochissimo spazio, alla fine furono solo 5 le presenze in campionato. Una però in Coppa Italia di Lega Pro, nella finale d’andata contro il Monza: la partita più importante che Pasqualini ha giocato con la maglia granata.
Sei anni dopo Pasqualini gioca in Eccellenza, nelle Marche al Porto d’Ascoli. Oggi il calciatore ormai 31enne trascorre la quarantena ad Offida, in provincia di Ascoli Piceno dove è nato, in attesa della Fase 2: “Mi alleno un pochino e intanto mi sono rimesso a studiare – racconta ai nostri microfoni – Sto preparando degli esami a maggio, frequento la facoltà di Scienze Motorie. Ho già conseguito la triennale, a gennaio invece ho iniziato la specialistica. Punto alla Laurea, ma intanto gioco ancora”.
E si diverte: “Mi sono riavvicinato a casa, non voglio ancora smettere. Però intanto ho iniziato un progetto con le scuole elementari per fare attività motorie. Il tutto è promosso dalla Regione Marche. È l’inizio del futuro, vorrei rimanere nel mondo del calcio anche se non so il ruolo specifico”.
Quindi si apre il baule dei ricordi e si ritorna al gennaio 2014: “Ero a Crotone in quella stagione in B, non trovavo tanto spazio e la squadra stava andando benissimo. C’è stata alla fine del calciomercato la possibilità di andare a Salerno, parlando col mio agente concordavamo che non si poteva rifiutare. Abbiamo deciso subito di accettare, proprio il 30 o 31 gennaio arrivai a Salerno. C’era mister Gregucci ad allenare: una persona fantastica, allenatore di grande profilo. È stato un piacere Salerno anche per conoscere uno staff tecnico di prestigio”.
Però sono state davvero poche le partite con Pasqualini in campo: “Appena arrivato trovai un ambiente che si stava rivoluzionando, oltre al mio ci furono anche altri 7-8 acquisti a gennaio. Il momento era di sbandamento, c’erano tanti ragazzi nuovi e dovevamo integrarci da subito. La Salernitana doveva recuperare posizioni in classifica: facemmo un buon girone di ritorno seppur con qualche passaggio a vuoto, però riuscimmo a rientrare nei playoff. Poi perdemmo con il Frosinone, squadra nettamente più forte che poi fece il doppio salto fino alla A cambiando poco. Vinsero in maniera meritata. Dal punto di vista personale non feci bene, arrivai da Crotone senza aver mai giocato e quindi ero fuori forma. La squadra intanto aveva preso la sua identità e non fu facile trovare spazio. Ricordo la partita con il Pisa, la mia migliore: una gara molto dura. Bella anche la trasferta di Viareggio”.
Ma l’emozione più grande fu la Coppa Italia vinta nella doppia sfida con il Monza: “Giocai l’andata. Bella esperienza giocare e vincere una finale, anche perché non è che abbia vinto tanti trofei. Vincemmo la partita con me in campo fuori casa, anche se di categoria inferiore il Monza era squadra attrezzata. Avevamo i favori del pronostico ma non era facile portare a casa il trofeo. Festeggiammo la Coppa, fu un momento bello: il mio miglior ricordo di Salerno, oltre alle sensazioni che mi diede la curva contro il Perugia. Mi fece un’impressione incredibile, anche se ero in panchina fu bello assistere a quello spettacolo”.
Sei mesi a Salerno, ma comunque ricordi positivi. Anche dello spogliatoio: “Pieno di personalità forti: Foggia, Montervino, Pestrin, Gori, Bianchi. Io ero ancora un ragazzo ed entrai in punta di piedi. Conoscevo già Scalise e Mendicino, con Manuel ho avuto il rapporto migliore che conservo ancora. Ci sentiamo qualche volta. Ero uno spogliatoio tosto che mi ha fatto crescere molto, mi hanno insegnato tutti qualcosa. C’erano calciatori di A e della Nazionale, è importante incontrare persone che ti fanno crescere. Per questo Salerno per me è stata un’esperienza positiva al di là delle poche partite. Se sei furbo nel prendere le cose giuste cresci anche giocando poco. Non ero contento di non giocare, certamente, ma non ho mai avuto problemi con Gregucci: era persona limpida e chiara, c’era trasparenza. Avevamo creato un bel gruppo, si andava a cena al convitto. C’era buon clima, la squadra era formata da tanti ragazzi scuola Lazio e quasi tutti della stessa età: ci eravamo affrontanti nei campionati giovanili. Non mancavano le divergenze, c’era confronto quando serviva: volevamo davvero vincere il campionato e salire, ma il Frosinone era più forte”.
Pasqualini ricorda con il sorriso anche Salerno (“città stupenda, peccato non averla vissuto al 100%”), poi racconta un simpatico aneddoto su Lotito: “Eravamo in ritiro a Roma e io ero fuori a fare una telefonata. Mi sento chiamare, era Lotito che mi chiedeva di giocare a biliardino. Eravamo contro, gli altri due erano collaboratori del presidente. Era molto competitivo e alla fine vinse lui. Lotito è una figura molto forte, carismatica: era una presenza importante. Io penso che l’obiettivo di Lotito è andare in Serie A, è competitivo al massimo: vuole salire con la Salernitana. Ma non è facile, la Serie B è un campionato duro però una piazza come Salerno la meriterebbe”.
Prima di pensare al sogno promozione, bisogna però tornare a giocare: “Secondo me è ancora presto per trarre delle conclusioni. Il campionato di Serie A e B va finito a mio parere, anche a luglio e agosto seppur con tutte le problematiche dei contratti: c’è da trovare una soluzione, servono promozioni e retrocessioni per non bloccare il sistema. Il taglio stipendi? Ho vissuto la serie C e non è tutto rose e fiori. L’80% dei ragazzi che gioca in C guadagna il minimo e poco più. Il taglio va fatto nelle categorie superiori. Ci vuole una riforma generale a livello economico, in tutti i settori e quindi anche nel calcio”.
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