Nove presenze, nessun gol e il mesto addio dopo sei mesi. L’allora presidente Antonio Lombardi aveva scelto Juan Manuel Arostegui per dare più peso all’attacco nel mercato di riparazione di gennaio 2007, quando la Salernitana aveva ancora chances di qualificarsi ai playoff. L’institore vallese era rimasto colpito dalle videocassette con i gol dell’argentino in Cile e in Malesia. Per questo, era soprannominato “Tigre“. Ma né Arostegui, né Colussi – prelevato nello stesso periodo dal Lanciano – riuscirono a timbrare il cartellino del gol. l’argentino esordì da subentrato a San Benedetto del Tronto, giocò titolare solo a Terni (nel famoso recupero della quarta giornata, quando i granata avevano trovato il Liberati chiuso, nda) e in casa contro il Manfredonia. Oggi l’ex attaccante gestisce la sua “Escuelita” dove forma bambini e ragazzi a San Francisco di Cordoba, in Argentina. Tra loro, anche un… salernitano.
“Venivo da un’ottima esperienza in prima divisione cilena con l’Universidad Catolica, era stato importante fare 5 gol in 10 partite. Anche in Malesia avevo segnato tanto e giunsi a Salerno con aspettative importanti. Non ricordo il nome dell’allenatore che trovai al mio arrivo (Novelli, nda): in quella settimana si giocarono due partite in quattro giorni e fu subito esonerato“, ricorda Arostegui ai nostri microfoni. Le partite in questione furono il derby interno contro la Cavese (0-0 in assetto quasi da guerra, con un’occasionissima sciupata da Mattioli) e la sconfitta di Martina Franca. Col benservito all’allenatore, arrivarono anche le dimissioni di Enrico Coscia. “Era stato il precedente tecnico a visionare i miei video e ad avallare il mio acquisto. Arrivò Bellotto che adottava un diverso modulo, con un solo attaccante e altre idee. Per questo fui relegato in fondo alle gerarchie. Giocai solo due partite da titolare e questa parte dell’esperienza è stata sicuramente brutta. – racconta ancora Arostegui – Dal punto di vista sportivo non fui contento con Bellotto, perché di certo non ebbi continuità. Però umanamente ho un bel ricordo, non faceva che spronarci. Salerno è una bella città, mi è piaciuto passare lì sei mesi. Li ho vissuti con molta intensità. Ho sempre cercato di prendere tante cose da ogni posto in cui sono stato, sia positive che negative. Di bello ricordo un grande club con un bellissimo stadio e una tifoseria molto appassionata, decisamente simile al modo di vivere il calcio qui in Argentina. Mi sono trovato a giocare in un periodo in cui la gente non poteva entrare allo stadio, però restava fuori a incitarci comunque e ad aspettarci. Queste sono cose belle che mi sono rimaste dentro”. Vero, quell’anno i granata giocarono due partite a porte chiuse – contro Teramo e Ravenna – perché l’Arechi non era ancora a norma con l’installazione dei tornelli. In seguito, riuscirono a entrare solo gli abbonati.
Cosa fa oggi il 40enne Arostegui? “Vivo a San Francisco di Cordoba, una città di 70mila abitanti in Argentina, dove ho una piccola scuola calcio a mio nome. – racconta – La cosa curiosa è che ho tra i miei allievi un ragazzino di Salerno: si chiama De Michele, da poco la famiglia è venuta a vivere qui, sono grandi tifosi della Salernitana e parliamo spesso di come va la squadra. So che è un vero fanatico, segue le partite su internet. Quando sono andato via dall’Italia ho sempre cercato di leggere informazioni riguardanti la Salernitana. Lo faccio per tutte le squadre dove ho giocato ed è grazie a lui se sono informato sulla Salernitana. Già prima di ritirarmi dall’attività agonistica, nel 2015, aprii una scuola calcio. Mi occupo di bambini dai 4 ai 13 anni e sono ben 200 in totale, divisi in due sedi.Parallelamente, faccio il coordinatore del settore giovanile del Deportivo Belgrano, la cui prima squadra milita in terza serie. Mi sto formando lì, ho preso il patentino da allenatore vorrei fare un’esperienza anche nella gestione del gruppo. Magari diventare tecnico di una squadra in Primera Division, chissà. Gestisco poi una grande palestra con un altro socio. Ora, purtroppo, per la situazione del Coronavirus è tutto fermo e siamo in quarantena. Mi godo i miei due figli di 14 e 10 anni: il primo è stato anche in Italia con me quando aveva un anno”.
Ha conservato la maglia granata, quella della sua porzione di stagione, e l’ha indossata per noi (foto in apertura). Il rammarico di non essere rimasto in Italia c’è, “ma non mi fermo a pensare a come sarebbe stata la mia carriera se avessi fatto altre scelte. Il mio percorso mi ha soddisfatto. – aggiunge Arostegui – Ho vissuto in sette paesi diversi, avevo 27 anni ed ero un po’ stanco di viaggiare da un lato all’altro del mondo. Ecco perché quando me ne andai dalla Salernitana andai nella B spagnola e poi scelsi di tornare in Argentina, rifiutando l’offerta di una squadra di Serie C2. Col senno di poi, mi sarebbe piaciuto giocare un po’ più di tempo in più in Italia: avrei potuto adeguarmi meglio al calcio italiano che è uno dei migliori al mondo”. In patria, dal 2009 ha poi vestito le casacche di Chacharita Junior, conquistando la promozione in massima serie, Mar del Plata e Deportivo Belgrano (la squadra della sua città nell’equivalente della nostra Serie C) con cui ha conquistato il salto in cadetteria. Nel 2014/15 altra parentesi in Malesia, infine altre tre annate al Belgrano, prima di appendere gli scarpini al chiodo nel 2018. E ora, un nuovo orizzonte nel curare la crescita calcistica dei ragazzini della sua città. Con un pizzico di Salerno comunque nel destino.
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