Sicuramente non si sbaglia se si dice che il “prodotto” Dia poteva essere gestito meglio. Lo dicono i fatti, lo dice l’epilogo di una storia partita con premesse da “30-40 milioni” – stando al valore che Iervolino assegnava al calciatore nelle interviste di fine anno scorso – e che si sta trasformando nella battaglia legale più cruenta, per usare l’aggettivo impiegato dallo stesso avvocato Chiacchio per descriverla, quantomeno della gestione dell’imprenditore palmese. Che ha deciso di non commentare le dichiarazioni rese dal senegalese ieri a L’Equipe (clicca qui per leggere l’articolo) con cui smentisce la versione dei fatti di Udine e di essersi rifiutato di entrare in campo.
Il patron resta in silenzio sul tema (e anche su altro, in attesa che siano chiare le sue stesse idee su come ripartire e se ripartire alla guida del club) e affida tutto agli avvocati. Nulla di nuovo sotto il sole, se non che sono evidentemente falliti i tentativi di accordo transattivo messi in campo dai legali del club. Tra dodici giorni ci sarà la prima udienza del Collegio Arbitrale e probabilmente, tra le contestazioni che la Salernitana muoverà, ci sarà pure la stessa intervista del giocatore, rilasciata senza autorizzazione. In quanto tesserato, potrebbe ricevere una multa ulteriore, stando al regolamento interno. Dia afferma di avere “compagni di squadra tra i testimoni pronti a confermare la mia versione”. Al momento dei fatti, in panchina con lui c’erano Costil, Martegani, Simy, Kastanos, Vignato, i giovani Allocca e Ferrari, oltre a Legowski e Sambia, che sarebbero entrati in campo di lì a poco negli scampoli di partita, a 4′ dal novantesimo. Chissà se il 30 aprile sarà inserito anche qualcuno di loro nell’elenco dei testi oppure si lascerà il mondo come sta.
Non ci sono più margini per ricucire e non si doveva arrivare a tal punto. Da un lato c’è il comprensibilissimo orgoglio della proprietà, che deve porsi come baluardo del rispetto delle regole fino in fondo, a prescindere dal nome e dal curriculum; dall’altro, c’è l’ex pezzo pregiato del mercato che ora rischia di essere svenduto. Quando a giugno è rimasto a Salerno lo ha fatto controvoglia? Non è stato venduto perché la valutazione data era troppo elevata rispetto al mercato, che notoriamente fa il prezzo, oppure perché le ambizioni erano quelle di fare un campionato ancora migliore del precedente? Lo stesso Morgan De Sanctis, quand’era ancora in carica come diesse, elencò tra i suoi errori quello di non aver venduto in estate Dia, i cui capricci (a partire da inizio settembre) e le vicende a lui collegate, infortuni compresi, hanno inevitabilmente influenzato l’ambiente granata. Da qui a dire che la retrocessione sia colpa dell’ex Villarreal, però, ce ne passa. Fatto sta che il nodo Boulaye ha bloccato e continua a bloccare la proprietà, divisa tra attesa (o attendismo), dubbi e voglia di reagire per affermare il proprio “non essere più un neofita“. Se Dia dice di volersi ripulire l’immagine, deve farlo (sportivamente) anche la Bersagliera con il suo presidente in testa.
Questa retrocessione ormai dietro l’angolo rappresenta una gran brutta figura. Per tempistiche, modalità, premesse, confusione e la litigiosità interna (mai nascosta, anzi) che fin dagli albori della stagione ha accompagnato il gruppo: le scintille con Sousa piuttosto palesi anche nelle dichiarazioni del portoghese, poi quelle in allenamento tra Mazzocchi e Coulibaly, i capricci di Dia e le parole di De Sanctis in conferenza stampa contro il calciatore (mentre il tecnico parlava di problemi fisici) e il Wolverhampton, il divorzio burrascoso col tecnico lusitano, l’arrivo di Sabatini che non le manda a dire a Inzaghi al pronti-via, poi il battibecco social a distanza tra i due dopo l’esonero, la durissima presa di posizione contro gli arbitri da parte del patron, il nuovo caso Dia, le dichiarazioni di Milan – per conto della proprietà – contro “alcuni procuratori” con riferimento ai flop di mercato, la diffida di De Sanctis a rispettare il patto di riservatezza fino al 30 giugno spedita al club, ora l’intervista di Dia. Questo solo per narrare eventi pubblici senza andare nel retrobottega delle voci da marciapiede che pure sembrerebbero avere fondi di verosimiglianza relativamente a duri episodi nel chiuso dello spogliatoio. Che lì devono rimanere. Insomma, una litigiosità che non ha fatto altro che acuire lacune tecniche (non possono non esserci se sei ultimo con 15 punti alla 32ma giornata) e allontanare anche la buona sorte che in altri casi – con uno spogliatoio unito, più sereno – avrebbe potuto dare una mano. Perché bisogna anche dire che se i granata avessero avuto 5-6 punti in più oggi non sarebbe stato uno scandalo, viste le prestazioni interne contro Roma, Milan e Juve e il derby di Napoli, e avrebbe consentito di essere ancora un briciolo in gioco.
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