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I ricordi di Merino: “Murolo un personaggio, Lombardi mi mentì. E con Iuliano alle cinque del mattino…”

In quarantena, ma sempre con il sorriso. Anche Roberto Merino aspetta che il virus passi e si possa ricominciare là dove ci si era fermati. In attesa, Merino ricorda i suoi tempi in granata e lancia messaggi a tutti i suoi tifosi che lo hanno sempre amato: “Stiamo vivendo un momento difficile, senza fare troppe chiacchiere dobbiamo lottare e superarlo, perché siamo nati per combattere”, dice il calciatore peruviano. 

Intervenuto in una diretta Instagram sul profilo di SalernitanaNews, Merino racconta come sta trascorrendo le sue giornate prima di aprire il baule dei ricordi: “Io sono un tipo molto casalingo, mi piace rimanere a casa – dice Merino – Dopo tanti anni in ritiro, pullman, albergo, mi sono abituato a stare a casa: leggere un libro, giocare a scacchi o a carte, giocare a playstation. Dopo un po’ però ti scocci perché vorresti essere sul campo o andare a vedere le partite”.

Mentre Merino parla, in diretta arriva un messaggio di Arturo Di Napoli e allora è impossibile non catapultarsi subito nel passato granata: “Di Napoli mi ha aperto il cuore dell’Italia, non solo di Salerno. E’ stato un grande campione, ma ha dimostrato di esserlo anche a livello umano. Quando sono arrivato non parlavo bene la lingua, mi ha colpito subito la sua umiltà nello spogliatoio, era uno che in campo diceva che la tattica in Italia è prevalente rispetto alle tue qualità tecniche. Questi dettagli hanno fatto nascere un’amicizia molto importante. Quando arriva un giocatore nuovo molti non lo calcolano, lui invece mi è stato molto vicino. All’inizio non giocavo, vedevo gli allenamenti di Di Napoli, Scarpa, Fusco, Iunco, Pinna, Iuliano, Berni, Russo e mi chiedevo come una squadra così forte potesse non vincere le partite. Poi ho capito che si trattava della pressione particolare della tifoseria”.

Non è facile giocare con la maglia del cavalluccio: “Per giocare a Salerno bisogna essere grintosi come Gattuso ma ai salernitani piace anche la fantasia. L’allegria non deve mancare mai ovunque”. E Merino ci ha messo tanta allegria nella sua storia con la Salernitana: “Il gol all’Albinoleffe? Dopo gli allenamenti scommettevamo di centrare la traversa da centrocampo, una cosa che facevo spesso anche in Spagna e in Grecia, scommettevamo sempre con Rino Iuliano. Avevo questa abitudine e se aggiungi colpo e tecnica esce questo. Dopo il gol Fusco fu il primo ad abbracciarmi, mi ha aperto le porte dello spogliatoio e si è sempre messo a disposizione”.

Uno spogliatoio caratterizzato da tanta amicizia. Un aneddoto: “Stavamo facendo una serata col Giaguaro, erano le 5 del mattino e stavamo festeggiando una vittoria, stavamo con delle ragazze. Lui apre la capote, prese i guanti e si mise la maschera del giaguaro: mi dice calciami un rigore nel parcheggio del Dolcevita. La gente che applaudiva, bellissimo”.

Nato in Perù, cresciuto in Spagna, formato in Italia. Il viaggio nelle origini di Merino: “Il mio cuore è peruviano, la mia crescita spagnola, la mia adozione italiana. Salerno mi ha colpito nel cuore per vari motivi. Potevo fermarmi a vivere in Spagna e invece ho scelto l’Italia. In Perù c’è tutto: deserto, mare, montagne alte 4500 metri e boschi, una geografia che ha tutto in uno. A 9 anni sono arrivato in Spagna, mia madre è cardiologa ed è in pensione da 4 anni. Ho avuto la fortuna di crescere nell’università del calcio, nel Barcellona. La prima cosa che mi ha colpito è che il primo allenamento l’allenatore mi ha fermato e mi ha detto “ecco un pallone per te e un altro per la squadra”, ero troppo individualista. In Spagna la tecnica è tutto. Ero un bambino povero, per me era come vedere Babbo Natale con Romario, Ronaldo il fenomeno, De La Pena in allenamento. Era come i ragazzi di oggi che vedono da vicino Messi. Erano gli anni Novanta e il calcio è cambiato, ma le emozioni erano indescrivibili”.

Poi arrivò la Salernitana, due anni e tre campionati: “Quando ebbi l’infortunio fu difficile, c’era un protocollo da rispettare gradualmente e adesso è quello che il mondo si ritroverà a fare quando tutto questo finirà. In quel periodo ero motivatissimo, la Salernitana credeva molto in me e io ero in debito con la tifoseria. Nessuno si aspettava quell’infortunio, ho dovuto rassegnarmi e ricominciare da capo per poter tornare più forte di prima. Murolo? Un personaggio, lo apprezzo molto, bravissima persona. Lo apprezzo tanto, io e lui crediamo molto in Dio: Michele parlava della Bibbia, però poi dovevi metterti parastinchi giganti perché ti dava tante botte in allenamento. In lui rivedo Migliorini: è un difensore giovane, sta facendo bene, spero che sia un po’ garante del popolo in campo: prima di attaccare bisogna difendere perché ha una grossa responsabilità”.

Ottimo rapporto con i compagni, non con il patron Lombardi: “Fui costretto ad andare negli Emirati Arabi perché lui avrebbe ricevuto una bella somma, prima mi diceva che voleva che rimanessi e poi mi ha venduto. Mi arrabbiai, tornai in Italia dopo pochi mesi. Con lui la Salernitana è andata in B e ha salvato la categoria, poi ha combinato una cosa “galleggiante” e in questa piazza qui devi essere responsabile e diretto, non puoi fare una cosa così”.

Ma la carriera di Merino non si è fermata, anche senza Serie A il peruviano si è tolto belle soddisfazioni: “Ho vinto lo scudetto con il Juan Aurich in Perù, squadra che in 93 anni non aveva mai vinto. E dopo c’era la possibilità di tornare alla Salernitana per me, poi non se ne fece più nulla. Non ho mai segnato tanti gol, ma quando segno ne faccio di belli. Mi piace fare assiste saltare l’uomo. A Cremona ne ricordo uno bello, feci una carezza sul pallone su punizione, il campo era bagnato. Il più bello lo feci in Coppa del Re col Mallorca di Eto’o, Ibagaza. Scartai quasi tutta la squadra, arrivai davanti al portiere e calciai col destro, non il mio piede, sotto l’incrocio dei pali. Il talento deve essere accompagnato dalla fortuna, ma non ho rimpianti. Ho giocato la Copa Libertadores, in Nazionale. Quell’anno che mi infortunai mi volevano Parma, Bari, Bologna e Siena: quando mi sono rotto il ginocchio si è cancellato tutto dalla sera alla mattina. Poi Lombardi mi allungò il contratto. Ho sempre fatto grossi sacrifici. C’è la fortuna che non ti assiste e anche l’influenza dei procuratori: ho visto giocatori che non erano forti come me che sono invece arrivati a grandi livelli”.

A circa dieci anni dalla Salernitana, Merino non ha smesso di sognare: “Il Merino del 2020 cerca di respirare sempre calcio, sono stato a Spoleto e Sora a giocare. Sto iniziando un progetto dal Portogallo interessante dedicato ai giovani: mi piacerebbe allenare la tecnica dei più piccoli. A marzo avrei dovuto essere lì ma si è bloccato tutto”.

In attesa di ripartire, Merino racconta l’origine del soprannome Maradona delle Ande: “Il nomignolo è nato grazie a José Alberti che era un amico di Sivori e seguiva Diego. E’ di origini argentine, guardando i miei video gliel’ho ricordato e mi ha ribattezzato così in omaggio delle montagne dove erano i guerrieri Incas”.

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