Da giornalista a dirigente: è la storia del salernitano Enzo Casciello. Dagli inizi alla redazione di Salerno de ‘Il Tempo’, verso la metà degli anni settanta, per poi trasferirsi a ‘Il Mattino’, come caposervizio tra Salerno e Napoli. L’avventura alla guida dell’edizione pugliese de ‘Il Roma’, con annesso trasferimento a Foggia, lo mise in contatto con Pasquale Casillo. L’opera di convincimento del ‘re del grano’, comproprietario della Salernitana dal ’91 al ’94 (insieme a Foggia e Bologna), portò Casciello a ricoprire un ruolo dirigenziale nel club granata per affiancare il ds Giuseppe Cannella nella costruzione della squadra. Proprio Casciello rassegnò le dimissioni per incomprensioni con lo stesso Casillo, per poi tornare al cavalluccio, nel 2010, come responsabile della comunicazione, voluto dall’allora proprietario del club, Antonio Lombardi.
Ai nostri microfoni Casciello, ora in meritata pensione, commenta la promozione in A della Salernitana, con una parentesi anche sulla questione societaria: “C’è grande soddisfazione, è una cosa speciale per me che sono cresciuto nella Salernitana, giocando da giovanissimo con Fulvio De Maio. Abitavamo vicino al Vestuti che per noi era casa. È stato smentito il luogo comune che Lotito non volesse salire in Serie A, per me è sempre stato un pensiero fuori dal mondo. Sul piano tecnico questa promozione è paragonabile a quella dell”89/’90 con Ansaloni dalla C1 alla B e a quella del 2007/08 sempre dalla C1 alla B con Agostinelli. Questa Salernitana, come quelle altre due, è stata squadra compatta, concreta, che non regala nulla agli avversari, a differenza di quella spettacolare vista con Delio Rossi. Alla fine conta solo vincere, quindi ben vengano gli Ansaloni, gli Agostinelli, i Castori, ma anche i Rossi. Speriamo che la vicenda societaria si risolverà in maniera soddisfacente, rispettando ovviamente le regole. Allargando però i discorsi ai regolamenti calcistici, essi sono obsoleti e non al passo con i tempi. Il discorso Superlega ha dimostrato come UEFA e Fifa restino arroccate su principi insensati, badando solo ai propri interessi. La questione parentela nella multiproprietà è fine a se stessa: tanti presidenti non sono parenti, ma sono amici e quindi in buoni rapporti, tali da poter condizionare le partite. La parentela non può essere l’unico sinonimo di conflitto di interessi. Allentare queste norme potrebbe essere una cosa sensata”.
Casciello solleva poi un problema cronico nel calcio di oggi, ovvero la violenza negli stadi, lanciando un appello: “Voglio prendermi la licenza di mandare un messaggio ai tifosi granata. Quando ci fu la retrocessione del ’99 con la tragedia del treno, dissi che quella poteva essere per la città l’occasione di dare un esempio al mondo di come si deve vivere negli stadi. Basta cori offensivi, insulti, violenze verbali e striscioni di vario tipo, ma più sportività. Quelle lacrime potevano essere una occasione di redenzione per non rendere più gli stadi degli sfogatoi. L’evento della promozione e la connessa felicità con un po’ di tristezza per i lutti che, anche stavolta purtroppo, sono capitati, può essere la nuova occasione per rendere l’Arechi un luogo di tifo per la Salernitana, ma anche di accoglienza per le squadre avversarie e quindi di distensione. C’è uno splendido esempio. Nel campionato ’66/’67, in una delle prime partite, la Salernitana sfidò la fortissima Sampdoria in casa; i tifosi blucerchiati esposero nel settore ospiti del Vestuti uno striscione recitante: “Lo sport non divide, ma affratella. Viva la Sampdoria, viva la Salernitana“. Uno striscione che veniva portato in ogni stadio dai tifosi, cambiando solo il nome della squadra ospitante. La Serie A dovrà essere vissuta da Salerno con la passione di sempre, evitando gli eccessi e identificandosi come sempre nella squadra di calcio”.
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