10 maggio 2020, riavvolgendo il nastro di 22 anni la Salernitana riacciuffava la Serie A a distanza di mezzo secolo dall’ultima volta. Accadde in seguito alla gara casalinga contro il Venezia, se lo ricorda bene Delio Rossi, era lui l’allenatore con cui i granata realizzarono il sogno e che per questo è diventato probabilmente quello più amato dalla piazza. “Fu il trionfo e l’apoteosi – racconta il tecnico nell’intervista apparsa sulle colonne de Il Mattino – Fu l’ultimo passo di una cavalcata straordinaria, di un campionato esaltante. Avevamo la certezza e la consapevolezza di vincerlo fin da marzo. La certezza perché le gambe andavano a mille e i piedi appartenevano a giocatori forti. La consapevolezza perché eravamo un gruppo unito: i ragazzi facevano le cose bene, se non erano fatte bene non finiva l’allenamento. L’andata a Venezia fu una prova di forza, da quel momento siamo rimasti al primo posto fino alla fine. Quella del match di ritorno fu una giornata speciale, tutto si realizzava davanti alla nostra gente come in un cerchio magico. La festa però fu sobria”.
Sì, perché Salerno era scossa dall’alluvione nel sarnese: “Già dai giorni precedenti il pensiero fu rivolto ai tifosi di Sarno, Siano e Bracigliano. L’alluvione e il fango avevano sventrato case, separato famiglie, portato via persone. Non si può festeggiare dove ci sono lutto e morti. Salerno e la Salernitana coronavano un sogno lungo 50 anni e tagliarono insieme il traguardo storico, ma non dimenticammo di rispettare chi non c’era più e chi ci era stato vicino, perché ogni domenica allo stadio c’era anche tanta provincia”.
L’ex mister granata incorona la squadra di quell’anno come la migliore che abbia allenato: “La più forte, è sicuro. Allenavo giocatori importanti che hanno fatto la storia e la fortuna del club, ma anche tanta strada nel calcio. Era una squadra dall’alto tasso tecnico e i numeri di quella stagione trionfale legittimarono il dominio. Nella squadra del ‘98 c’erano solo due punti di contatto con quella che aveva vinto la finale playoff per la Serie B nel ‘94: Breda e Ricchetti. La squadra che volò in massima serie era fortissima, ma forse su quella promossa in cadetteria c’è più il mio timbro. Le sono moralmente molto legato, erano calciatori meno dotati tenicamente, ma con il cuore e il coraggio si arrampicarono in vetta”.
Quest’anno la Salernitana ha l’occasione di giocarsela per quei palcoscenici, ma prima il calcio deve ripartire: “Bisogna fare una distinzione. Se parliamo di calcio, di sport e di salute, quando riparte la Serie A deve ripartire anche tutto il resto. Il calcio è passione, sport popolare, il pallone dovrebbe rimbalzare dovunque, pure sui campi dei dilettanti e dele categorie giovanili. Siccome però il calcio è anche un’azienda, deve essere trattato come un’azienda: se un’insustria e una fabbrica seguono rigidi protocolli per la ripresa si attiene anche il calcio e aspetta l’ok per l’applicazione del protocollo scientifico proedeutico all’attività agonistica. Quello che rivedremo però non sarà calcio, perché il calcio ha le sue regole, ha tifo e passione. Invece gli spalti saranno desolatamente vuoti. Ci saranno partite ma vedremo un’altra cosa, vedremo un’azienda aperta. Non sarà calcio o almeno non sarà quello che riscalda il cuore e che piace a noi”.
Il calcio che piace a Delio Rossi è anche quello in cui il rapporto con i tifosi non era lo stesso di oggi: “Conoscevo il Siberiano, come conosco Ciccio Rocco. Ero quello che sono, un tipo schivo, non frequentavo cene e feste, frequentavo gli stadi. Però ricordo la passione e il rispetto: loro sapevano dove fossi e dove trovarmi, io sapevo che li avrei incontrati la domenica allo stadio, insieme alla gente a incitarci. La passione fa parte di Salerno e la pressione non è mai stato un alibi o un problema, anzi io mi esaltavo con la pressione perché ha anche i suoi risvolti positivi. Poi dipende anche da come vanno i risultati. Non esiste nessuna formula segreta, esiste la tua faccia e la tua sincerità. Alla gente bisogna sempre dire la verità, è inutile promettere”.
A proposito di verità, il popolo dell’Arechi vuole chiarezza sulle intenzioni di Lotito, che l’allenatore originario di Rimini ha avuto come presidente alla Lazio: “Salerno è la città dove torno sempre volentieri, l’ultima volta in occasione della presentazione di un libro al Palazzo di Città per il centenario. Lotito è un presidente del quale parlo volentieri e gli devo dire grazie, perché mi ha dato la possibilità di allenare nella capitale, in un contesto calcistico importante. Poi tutti i matrimoni hanno una fine, ma dal punto di vista imprenditoriale ha una mente brillante. È anche una persona ambiziosa e quindi si impegna per ottenere il meglio. Se ha la voglia non gli mancano capacità e ambizioni per portare la Salernitana in Serie A”.
Antonio Moscariello
10/05/2020 at 10:24
Buongiorno
In verità c’era anche Vittorio Tosto nel 94
Grazie