La strada per emulare le gesta dell’idolo Neymar è appena iniziata, ma Andrè Anderson di certo non dimenticherà facilmente la serata del Barbera di Palermo. La rete valsa il momentaneo 1-1 è stata la prima del talento brasiliano in Italia tra i professionisti. Per il momento se lo coccola Angelo Gregucci, tecnico che l’ha gettato in campo senza grosse remore dopo la lunghissima anticamera durante la gestione Colantuono. “Sa giocare a calcio”, il giudizio del tecnico pugliese che vale più di mille ostacoli che pure André ha dovuto affrontare. Un ragazzo neppure ventenne (è un classe ’99) scaraventato in un universo tutto nuovo. Ambientale prima che professionale.
“O Artilheiro”, così lo chiamavano in Brasile per la sua innata vena realizzativa, non s’è perso d’animo. Accompagnato dall’inseparabile Mika, moglie e compagna di vita che lo ha scortato nella sua nuova avventura con vista Roma. Già perché Anderson è in prestito dalla Lazio dove dovrebbe tornare la prossima estate per essere valutato da Simone Inzaghi. Discorsi prematuri, per ora c’è da far bene a Salerno e dimostrare che l’etichetta del predestinato (craque, come dicono in Brasile) non è stata appiccicata per caso. E soprattutto c’è da dare soddisfazioni ad una famiglia che lo ha sempre sostenuto e continua a farlo, seppur a distanza di migliaia di chilometri. Famiglia in cui scorre sangue italiano. Il bisnonno di André è originario di Archi, piccolo paese in provincia di Chieti; la bisnonna di San Giorgio al Tagliamento, frazione di San Michele nel veneziano. Dopo la seconda guerra mondiale partirono con una valigia carica di sogni e speranze verso il Brasile, precisamente a Pedrinhas Paulista, villaggio nelle interior dello stato di San Paolo fondato proprio nel dopoguerra. Lì si conobbero e si sposarono. Proprio lì, il piccolo Andrè ha mosso i primi passi sotto lo sguardo vigile di papà Lourenço e mamma Andrea. Età ancora verdissima, ma talento cristallino in una famiglia appassionata in cui si respirava calcio. Il nonno Celso costruì un campetto alle spalle di casa per farlo giocare. In quello dell’oratorio c’era la folla ogni qual volta André toccava palla. Nel frattempo praticava anche karate, tanto da diventare campione brasiliano. Ma il richiamo del pallone era troppo forte.
Nel 2008 la prima svolta della sua breve carriera, la chiamata dal Santos. Andrè svestì il kimono per indossare stabilmente gli scarpini. Prima nel futsal, poi nella scuola calcio del Ponta da Praia, squadra affiliata al Santos di cui presto entrò a far parte. Ad accompagnare i suoi primi passi nella blasonata squadra che fu di Pelè tutta la famiglia, trasferitasi da un piccolo paese di tremila anime ad una metropoli come Santos. Tra enormi sacrifici. Papà Lourenço trovò lavoro come manovale, mamma Andrea si occupava dell’educazione di André e di accompagnarlo agli allenamenti. Il resto è storia nota. Step by step il piccolo Andrè s’è messo in mostra tra le fila del Santos: nove anni dall’under 11 fino all’under 20 dove s’è meritato la chiamata della Lazio ed in precedenza le attenzioni di Jorge Juary, ex calciatore di Avellino ed Inter che lavora come allenatore ed osservatore tra Italia e Brasile.
Il nome di André Anderson, del resto, era sul taccuino di diversi scout sudamericani già dal 2016. Adesso è tempo di imporsi in Europa, nel calcio che conta. Il sangue italiano che scorre nelle vene ha indubbiamente aiutato ad accelerare l’inserimento. Saudade si, ma soltanto della famiglia che è rimasta a Santos ed è solita riunirsi per guardare su internet – fuso orario e streaming permettendo – le partite della Salernitana. Insomma una piccola, grande, colonia di tifosi granata a sfumature verdeoro. André Anderson è diventato un punto di riferimento per i giovani di Pedrinhas Paulista che vedono in lui un modello da seguire. E per il piccolo Andrey, laterale sinistro classe 2005 che sogna un futuro da attaccante per emulare le gesta del fratello André. Grandi sacrifici per grandi obiettivi: far bene alla Salernitana per arrivare un giorno in nazionale. Brasile o Italia, si vedrà: Andrè ha il doppio passaporto, ma ci sarà tempo e modo per pensarci. Prossimo obiettivo Lecce, tre punti e magari il primo gol dinanzi al pubblico amico. Quel pubblico che nel recente passato ha spesso sventolato bandiere del Brasile in onore di Calil e Gabionetta, trascinatori della Salernitana nella scalata alla B. E chissà che in quella ai playoff non possano esserci ancora sfumature verdeoro…
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