Emanuele Cicerelli l’isolamento forzato lo sta vivendo come fanno tutti, trovando dei passatempi per combattere la monotonia delle giornate. “Il difficile è vincere la noia – racconta nell’intervista rilasciata a Le Cronache – Mi sono dato al pane e ai dolci fatti in casa, ma anche alla playstation. Poi tutti i giorni mi alleno con i miei compagni tenendoci in contatto via Skype. Seguiamo un programma consegnatoci dallo staff. Se però dovessimo riprendere sarà obbligatorio fare un richiamo di preparazione. Personalmente non ero mai stato così tanto tempo fermo. Anche d’estate, durante le vacanze, sono abituato a muovermi, a giocare con gli amici a calcio tennis o a beach volley. Insomma mi tengo sempre in allenamento e stare un mese fermo sul divano è una sensazione che non avevo mai provato”.
La pausa condizionerà anche la situazione degli infortunati: “Prima di fermarci avevo un problema al ginocchio da un paio di giornate, spero e credo di averlo smaltito. Il problema è che non ci siamo curati, non abbiamo fatto terapie perché è tutto chiuso. I lungodegenti come Djuric e Lombardi hanno recuperato tempo e per loro questo stop è stato una fortuna. Penso di stare bene anche io perché era solo una botta, però devo riconoscere che le terapie mi avrebbero aiutato di più. L’infortunio al polpaccio di inizio stagione mi ha tenuto fuori di più perché non riuscivo a smaltirlo. Era una piccola lesione ma collocata in un punto profondo. Camminando non la sentivo, poi quando caricavo correndo sentivo dolore, per cui ho impiegato più tempo a guarire. Ho perso un mese pieno ma per fortuna sono riuscito a superarlo”.
Il capitolo ripresa però è difficile da affrontare: “Ci sono tanti interessi, non bisogna essere ipocriti dicendo che prendendo una decisione si possono accontentare tutti. Magari c’è il presidente che sta retrocedendo che vuole annullare tutto e invece quello che sta vincendo il campionato che vuole riprendere. È un esempio banale ma è per dire che non è facile mettere d’accordo tutti. L’emergenza è stata una cosa più grande di noi, con questo virus non si scherza perché la salute viene prima di tutto. Per i numeri che c’erano fino a un paio di settimane fa pensavo che il campionato fosse archiviato proprio perché la situazione era critica, c’erano solo peggioramenti nonostante fossimo tutti a casa. La vedevo nera ma finalmente in questi ultimi giorni i numeri sono in calo. Prendendo le necessarie precauzioni e misure di sicurezza per consentirci di giocare, come ad esempio gli stadi vuoti, penso si possa tornare in campo. Credo sia giusto farlo per completare il campionato tra giugno e luglio. E penso sia altrettanto corretto non fare le vacanze e riprendere subito dopo con la nuova stagione, con un mese di ritardo per poter gradualmente tornare alla normalità. Porte chiuse uno svantaggio per la Salernitana? Giocare senza pubblico sarebbe pesante, soprattutto per squadre come la nostra, visto che viviamo sulla presenza dei tifosi sia in casa che in trasferta. Per noi è un fattore importante e se dovessimo giocare senza pubblico sarà particolarmente strano e difficile. Ci verrà a mancare un sostegno fondamentale soprattutto se dovessimo disputare i playoff. Sarebbe paradossale andarci a giocare una cosa tanto importante senza l’apporto della nostra tifoseria. Almeno speriamo che tutto questo serva perché l’incubo finisca”.
Su una cosa però le società sono tutte d’accordo, i tagli agli stipendi: “A me sembra giusto che anche noi rinunciamo a qualcosa, su questo non c’è dubbio. In questa tragedia ci perderanno tutti, dal più piccolo commerciante al più facoltoso imprenditore. È giusto tagliare gli stipendi, calcolando le perdite delle società e in base a questo fare un discorso con noi calciatori. Così credo che nessuno possa lamentarsi”.
Il laterale classe ‘94 poi passa alle questioni di campo, come il prestito al Foggia che gli è servito a trovare la sua dimensione: “Con mister Grassadonia ci conoscevamo già dai tempi di Pagani. Già lì avevo giocato nel 3-5-2, facendo spesso il quinto ma anche l’interno a sinistra. Già allora mi resi conto che quella posizione poteva giovarmi. Quando tornai qui con Colantuono lui non mi vedeva nonostante giocasse con il 3-5-2 e andai a Foggia dove ho ritrovato Grassadonia. In estate sono rientrato a Salerno sapendo che c’era Ventura, un allenatore votato all’attacco, questo mi ha dato la convinzione che potessi giocarmela rispetto agli anni passati. Purtroppo Colantuono non sapeva darmi un ruolo nel suo modulo, ogni allenatore lo interpreta a modo suo ed io l’accetto perché fa parte del gioco. Con Bollini è andata diversamente, arrivavo da Pagani, dove avevo fatto la mia miglior stagione anche se in una piccola realtà e in Serie C. Sono arrivato con tanto entusiasmo, carico perché in una grande piazza, ma le cose non sono andate come dovevano andare. Non posso recriminare perché ce l’ho messa sempre tutta, soprattutto in allenamento, per farmi notare nonostante fossi arrivato a fine ritiro e la squadra, nelle idee del mister, fosse già fatta. Ci ho messo un po’ di tempo a entrare nelle sue gerarchie, quando finalmente ce l’ho fatta Bollini è stato esonerato. Con l’arrivo di Colantuono sono stato ceduto in prestito al Pordenone. Con Bollini non ci siamo lasciati male, poi ci siamo parlati e lui mi ha rivelato di essersi ricreduto su di me dopo avermi conosciuto, ma purtroppo è stato troppo tardi. Quest’anno sapevo che sarei tornato per giocarmi la conferma. Però già dopo una settimana di ritiro sapevo che sarei rimasto, perché ci si accorge della considerazione che il mister ha di te. Ci si accorge di essere in grado di fare ciò che ti chiede l’allenatore e avevo capito che in questo gruppo ci sarei stato alla grande. Per fortuna poi è andata bene anche sul campo”.
Infatti le prestazioni di Cicerelli sono state sempre convincenti, oltre ad essere state impreziosite da quattro assist, manca solo il gol: “Prima o poi quel centimetro che mi è mancato sarà a mio favore. Le migliori punizioni le ho calciate a La Spezia e a Perugia. Al Curi ero convinto che fosse finita dentro e stavo andando ad esultare. Le tiro di piatto, ci sto provando da tanto anche se in allenamento si provano solo una volta a settimana. Ho lavorato sulla coordinazione osservando i più grandi e la mia stessa caratteristica di tiro. Cerco di alzarla sopra la barriera e farla scendere all’improvviso, ma purtroppo finora non sono riuscito a buttarla dentro. I miei primi e ultimi due gol all’Arechi li ho segnati in Salernitana-Aversa Normanna, anche se da avversario. Furono anche dei bei gol. Vincevamo 3-1 al 70’, poi venne fuori l’esperienza della Salernitana”.
In quella stagione, 2014/2015, il suo allenatore era un salernitano: “Di Raffaele Novelli posso parlare solo bene. Mi ha conosciuto a Barletta dove ero nella Berretti, mi ha portato in prima squadra facendomi esordire e dandomi la possibilità di essere stabilmente tra i titolari. Lì sono cresciuto tanto. Poi l’ho ritrovato ad Aversa e devo dire che per me era veramente un grande allenatore, con idee molto offensive. Per gli esterni e i centrocampisti era molto bello giocare”.
Ma il calciatore di San Giovanni Rotondo non solo è stato confermato in granata, è stato anche acquistato dalla Lazio: “Non posso negare che per chi parte dal basso come me è una bella soddisfazione arrivare a firmare un contratto pluriennale con una realtà importante della Serie A come la Lazio. È inutile prendersi in giro. So che i tifosi ci sono rimasti male, ma io non ho problemi a rimanere qua a Salerno. Il loro rammarico per me è anche una dimostrazione di stima e affetto. Sappiamo che la Lazio manda tanti giocatori qui ed è stata una cosa più che altro formale. Alla fine credo sia stato un premio al mio impegno, niente di più. L’obiettivo della stagione? Possiamo centrare tranquillamente i playoff. Ora siamo al completo e al 100% possiamo giocarcela contro ogni avversario. Siamo una squadra di qualità, fatta di giocatori esperti e giovani di talento. E poi ai playoff ci dobbiamo arrivare perché sarebbe uno peccato sprecare quanto di buono fatto finora”.
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