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Salernitana-Potenza, parla il figlio di Plaitano: “Nessun rancore, tutto frutto della disorganizzazione”

Sono trascorsi più di 62 anni dal tragico epilogo di Salernitana-Potenza, che nel vecchio Vestuti segnò il primo morto in uno stadio italiano, Giuseppe Plaitano. La partita di oggi non sarà mai una semplice sfida per il signor Umberto, il figlio di Giuseppe, anche lui era presente allo stadio: “Non l’ho mai detto in 62 anni. Tutto fu così irrazionale, ma sia io che i miei fratelli non abbiamo mai portato del rancore, soltanto del dispiacere con il senno di poi, quando siamo cresciuti. Abbiamo notato che le cause che hanno determinato questo lutto sono state frutto della disorganizzazione, questo è l’unico dispiacere. Anche rivolgendomi a due avvocati, uno di Napoli e l’altro di Salerno, non riuscì ad avere la verità legale“.

Molti dubbi e molte domande ancora oggi sono nella testa del figlio di Giuseppe Plaitano. Il signor Umberto ha raccontato anche cosa accadde durante e dopo quella domenica: “L’azione di Parasole, a scopo intimidatorio, avvenne quando le due squadre e l’arbitro avevano già raggiunto gli spogliatoi, quindi perché lo fece? Non c’era alcun motivo di sparare in area. La folla non poteva essere gestita perché i poliziotti inviati per la sicurezza del campo erano quelli del personale degli uffici della questura, i carabinieri erano ai seggi perché si votava: la partita non si doveva giocare. Al funerale di mio padre a piazza San Francesco c’erano 30.000-40.000 persone che assistettero alla messa, alcuni facinorosi portarono la bara di mio padre davanti a piazza Amendola per dire che erano stati loro ad uccidere mio padre. Alcuni dissero che mio padre non era morto sulla tribuna, ma che era un facinoroso. Il patologo di Salerno disse che era morto per schiacciamento del torace, lui invece morì all’ultimo gradino prima della tribuna stampa con un colpo all’encefalo sinistro mentre guardava la scena dei poliziotti con le camionette. Se mio padre avesse avuto il volto girato verso destra, guardando la gente che scappava così come le squadre, la pallottola sarebbe andata sulla fronte, dove ci sono le ossa parietali, e sarebbe caduto a terra, invece è stato colpito all’encefalo, l’unico posto dove si può morire anche con uno spillo, questo fu raccolto da una perizia fatta a Napoli“.

Dopo alcuni mesi dalla morte di Giuseppe Plaitano, il figlio ricevette l’immagine del padre deceduto sui gradini del Vestuti: “Non l’avevo mai vista, me la inviarono a casa perché d’impatto alla tragedia si vociferava che mio padre era con i facinorosi. Parasole non sparò solamente un colpo, ma più colpi. Io e l’avvocato Spagnuolo volevamo fare un’azione legale, ma sparirono tutte le carte e gli accertamenti”.

Umberto Plaitano ha rilasciato alcune dichiarazioni anche sui consueti divieti di trasferta imposti alle tifoserie, tra cui quella granata, ed il motivo per cui ancora oggi si continua a morire negli stadi: “Queste decisioni dovevano essere prese molti anni prima. Nel corso della mia vita ho parlato anche con i familiari di Paparelli e feci anche delle conferenze con la moglie di Filippo Raciti. Non si morirà soltanto adesso, ma anche in futuro. Tutto nasce dal non miglioramento della vita pubblica, andiamo verso un peggioramento del tenore di vita. La colpa è dei genitori dell’attuale generazione. Quello che sto dicendo fa ridere, ma i migliori filosofi di questo tempo l’hanno descritta come la peggiore dalla nascita del genere umano”.

Una vita legata alla Salernitana, anche dopo la tragedia. Infatti per molti anni Giuseppe Plaitano fu il responsabile del settore giovanile granata: “Quando venne Esposito a fare il presidente della Salernitana, io ero un amico del fratello. Prima ero ragioniere capo a Salerno, dissi che se avessero voluto la mia collaborazione, l’avrei data solamente interessandomi del settore giovanile. Organizzai dei raduni esplorativi e di appartenenza alla società di giovani della Campania. Visionai 127 giocatori provenienti da tutta la Campania con l’aiuto di Gigi Gigante ed altri esperti di calcio. Tra tutti questi posso annoverare un punto d’orgoglio, Alessio D’Angelo, poi diventerà giocatore della Juventus ed allenatore. Molte volte andavo dal Comune, che chiudevo personalmente, e poi alla sede della Salernitana verso 00. Durante il secondo anno di Esposito, il bilancio per il settore giovanile era 0, allora raccolsi sponsor e soldi da miei amici. Durante un periodo negativo, un allenatore si prese molti giocatori bravi ed andò via: non l’ho mai perdonato. Io rimasi con dei ragazzi che erano bravi, ma non come quelli andati via. Dovetti fondare una società nella società, la Salerno Calcio. Organizzai tornei internazionali al Vestuti, con Milan, Inter, Feyenoord e Salernitana, alle carte però Salerno Calcio. Ebbi una discussione con l’allora presidente della Salernitana, mi disse che non potevo riavere i soldi messi di tasca mia per i granata: naturalmente alla fine mi arrivarono. Adesso non seguo più la Salernitana, capisco che è un mio limite. Tornare? Si, ma solamente nel settore giovanile come unico responsabile”.

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