Ancor prima di metter piede a Salerno in un assolato pomeriggio d’inizio luglio, Gianluca Petrachi già aveva inteso quanto difficile e arduo fosse il compito che lo attendeva. Nel mentre aveva già dovuto salutare un allenatore e depennare obiettivi che avrebbero conferito alla Salernitana una diversa autorevolezza nella griglia di partenza del torneo di Serie B.
Poco male. Quando alla base ci sono passione, determinazione e voglia di rivalsa – personale prima che professionale – poco o nulla può spaventare ed ogni ostacolo diventa superabile. Ne ha dovuti bypassare non pochi Gianluca Petrachi nel proprio breve ma intenso percorso da dirigente della Salernitana.
“Fosse per me li cambierei tutti”. Il bilancio del gong del mercato racconta che il diesse granata ci è andato molto vicino. Nella rosa definitiva (mercato aperto ancora per gli svincolati), figurano soltanto sei reduci della scorsa, disastrosa, stagione: Simy, Maggiore, Fiorillo, Valencia, Bronn e Sepe. Gli ultimi quattro, peraltro, protagonisti solo in marginale parte.
Una rifondazione totale. Esattamente ciò che serviva per chiudere i conti col passato. Tra entrate ed uscite Petrachi ha concluso 37 operazioni. Un’enormità. L’acquisto migliore però la Salernitana non lo ha messo a segno nei patinati e caotici saloni dello Sheraton di Milano nelle ultime ore di contrattazione: essere riusciti a ricreare compattezza ed entusiasmo, allontanando gli spettri del recente torneo. In un contesto ambientale peraltro oggettivamente non semplice, caratterizzato dall’aspra contestazione della tifoseria nei confronti della proprietà.
Martusciello e Petrachi, due che masticano calcio non dall’altro ieri e nel calcio ne hanno viste e vissute di cotte e di crude, hanno fatto muro. Isolandosi ed isolando la squadra. Riuscendo a mettere ordine nello spogliatoio. Bonificando quella che era una “palude”, per stessa ammissione del direttore sportivo granata. Un lavoro duro, sacrificante. E spesso neanche troppo redditizio, almeno sul piano economico. Vendere sapendo di dover vendere ad ogni costo. Accettando anche condizioni al ribasso della controparte che, ovviamente, non aspettava altro che fiutare l’affare. Perché per ricostruire occorreva giocoforza spazzare le macerie delle passate gestioni, capaci di depauperare un patrimonio il cui valore – appena dodici mesi fa – era stato stimato in 80 milioni di euro.
La dimostrazione che nella figura cardine del direttore sportivo le capacità manageriali e gestionali vengono necessariamente prima della bravura nell’andare a scovare talenti a basso costo in giro per il mondo ed in campionati semisconosciuti. Perché in una stagione calcistica il mercato dura una manciata di mesi. Decisamente troppo, aperta e chiusa parentesi. Tutto il resto è gestione ordinaria. E’ day by day. E’ lavoro certosino da fare a braccetto con staff tecnico e dirigenziale per fare in modo che i giocatori abbiano una sola preoccupazione: giocare al calcio mettendoci il massimo impegno cercando di farlo nella maniera più profittevole possibile. Mettendo il noi davanti all’io, la squadra dinanzi alle esigenze personali.
Il giudizio sulle operazioni di mercato come sempre lo darà il prato verde, unico giudice supremo. L’auspicio ovviamente è che tutti i nuovi rendano al di sopra delle aspettative. Qualcuno avrà bisogno di più tempo per carburare ed ambientarsi in un contesto nuovo, qualcun altro forse deluderà. E’ il calcio. Ma l’entusiasmo, la voglia di crederci e di buttare il cuore oltre l’ostacolo sono già i tratti distintivi della Salernitana dell’anno zero. La proprietà punta al ritorno in A in tre anni. L’obiettivo però è quello di non avere obiettivi. Salernitana mina vagante del torneo, senza guardare la classifica. E poi “vada come vada”…
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