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Di Michele a Vianema: “La Salernitana ha ottimi giocatori. Devono affiancare la qualità alla voglia di lottare”

L’ospite dell’undicesimo episodio di Vianema, podcast ufficiale della Salernitana, è stato David Di Michele. L’ex calciatore, che ha indossato la casacca della Bersagliera dal 1998 al 2001 collezionando 48 gol in 102 presenze, ha ricordato il passato in granata, parlando anche della situazione attuale dell’Ippocampo.

L’attaccante ha iniziato l’intervista proprio facendo un salto all’indietro, all’inizio della sua carriera: “Il primo contatto con la Salernitana l’ho avuto a quindici anni, quando all’Arechi ho giocato la semifinale playoff di Serie C con la Lodigiani. Penso che quel ragazzo ne ha fatta di strada. Sono partito con un sogno e ho avuto la fortuna di giocare in grandi club ma soprattutto in città passionali, come Salerno. La Salernitana è stata la squadra che mi ha consacrato nel grande calcio. Arrivavo da una retrocessione a Foggia e sono stato catapultato in una realtà più grande di me. Quello è stato l’inizio di un grande percorso“.

Sull’importanza della Salernitana per la sua crescita come calciatore e uomo, Di Michele ha detto: “Qui per me c’è stata la consacrazione nel grande calcio. La Bersagliera mi ha fatto esordire in Serie A regalandomi una grande opportunità. A Salerno ho fatto il salto di qualità. L’amore della città e il sostegno della gente, aldilà degli alti e bassi, è stato enorme. Ritornare a Salerno e sentire ancora questo affetto dopo tanti anni mi fa capire di aver fatto qualcosa di buono. Questa è la cosa più bella che possa accadere ad una persona. Quando torno qui so di essere a casa“.

Di Michele ha poi continuato parlando delle emozioni provate al momento del passaggio dal Foggia ai granata: “Passare da una squadra di B ad una formazione che nella stagione precedente aveva fatto grandi cose è stato difficile. Ho avuto la fortuna di avere dei compagni esperti che si sono messi a disposizione dei più giovani. In più l’allenatore aveva delle idee di calcio importanti, lanciava i ragazzi facendoli giocare con tranquillità. Ci siamo divertiti e allo stesso tempo anche dispiaciuti per come poi è finita – ha detto il classe 1976 che ha continuato parlando dell’ultima gara di quella stagione -. Nella partita di Piacenza abbiamo creato tantissimo ma non siamo riusciti a portare a casa la vittoria che ci avrebbe permesso di rimanere in massima serie. Fiori, l’estremo difensore avversario, ha giocato una gara strepitosa. Siamo stati anche penalizzati per via di un rigore non assegnato alla fine. C’era tanta rabbia ma soprattutto tanta tristezza per ciò che è accaduto nelle ore successive al match. Dopo la tragedia la partita era ovviamente passata in secondo piano. Abbiamo vissuto una situazione surreale, passare da una partita di calcio al funerale di quattro ragazzi. E’ stato bruttissimo“.

Per continuare l’ex Palermo ha poi parlato dell’attuale situazione dell’Ippocampo: “Sicuramente dopo una retrocessione è tutto più difficile. Bisogna partire bene, formando un gruppo di uomini che possa aiutare i giovani. Gli ostacoli arrivano sempre e a quel punto, dopo essersi resi conto di non riuscire più a raggiungere gli obiettivi prefissati, bisogna salvare il salvabile. Quando non si è abituati a lottare per la salvezza diventa tutto molto più complicato, bisogna dare ancora di più. La Salernitana ha giocatori di qualità che possono fare la differenza. Devono, però, mettersi a disposizione affiancando l’estro alla voglia di lottare“.

L’attaccante si è poi soffermato sul gol segnato nel derby contro il Napoli nel ferragosto del 1999: “Faceva caldissimo all’Arechi. C’era il pienone, la gente era tornata dal mare per vedere la partita. Un ambiente del genere ti carica molto, sentivamo il peso della città sulle spalle ed è stato proprio questo il bello di quella serata. Abbiamo vinto il derby con una mia doppietta. Quello che è rimasto impresso è stato il secondo gol segnato con un pallonetto. C’è sicuramente dell’estro ma soprattutto tanta follia, perché se la palla non entra poi iniziano a piovere le critiche. Questo e quello segnato a Genova contro la Sampdoria sono stati i gol più belli realizzati in maglia granata“.

Sui numeri di maglia dell’avventura granata: “Il primo è stato il 20. Venivo dalla Serie B e c’erano altri giocatori che avevano il diritto di indossare numeri più importanti. Al secondo anno, visto che erano andati via molti calciatori importanti, mi sono assunto la responsabilità di indossare la numero 10, che portò anche bene perché misi a segno 23 gol. Al terzo anno ero ambito da molte squadre e di conseguenza ci furono dei fraintendimenti fra me e il tifo salernitano. Presi la 90 con un po’ di follia. Sta a simboleggiare ‘la paura’ e io, anche un po’ presuntuosamente, volevo far capire di non temere niente”.

Riguardo l’esultanza polemica contro la Pistoiese che aprì una frattura con il pubblico dell’Arechi: “Dopo la rete andai a zittire un paio di persone in tribuna. Non voleva essere un gesto rivolto a tutto lo stadio. Fortunatamente negli anni ho capito di aver fatto un grandissimo errore, la gente non meritava quel gesto, i tifosi mi hanno dato tantissimo, molto più di quanto ho dato io per la maglia. I calciatori devono sempre dare l’esempio per i giovani che si avvicinano a questo sport“.

Un aneddoto sull’allora presidente Aniello Aliberti: “In ritiro mi arrivò una chiamata del presidente. Mi disse che mi aveva venduto all’Inter e che gli avrei dovuto far vincere l’ultima gara con la maglia della Salernitana. Io ero titubante, non ci credevo, ma chiamando la mia famiglia iniziai ad organizzare il trasloco. Il giorno successivo alla partita, vinta grazie ad un mio gol, il presidente mi comunicò che non sarei più partito. Soltanto a fine anno, dopo aver conquistato la salvezza, passai all’Udinese per 25 miliardi di Lire e lo feci per non far fallire la Salernitana“.

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