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Un tunnel di autolesionismo, tanta teoria e poca pratica: Salernitana-Benevento, la lettura tattica

Salernitana-Benevento è stato derby con poche sorprese, rari sussulti e l’incapacità tattica di entrambe le squadre di pensare a giocare per superare l’avversario. La squadra granata appare equilibrata, fin troppo predisposta a “cercare” il Benevento piuttosto che pensare effettivamente di aggredirlo. Gregucci sembra schierare non più i giocatori in sé, ma “l’idea” (consentiteci l’eufemismo) di creare giocate e conclusioni offensive. Tutto questo sulla carta. All’atto pratico le cose sono andate in maniera diversa. Se si vuole migliorare la costruzione del gioco partendo dalle retrovie, infatti, sarebbe opportuno l’utilizzo di qualche interprete diverso in difesa. Così come dovrebbe essere finalmente abbastanza chiaro che Djavan Anderson può giocare (se ancora dovesse) soltanto esterno, mentre è un suicidio impiegare (e regalare) Jallow vertice ultimo e isolato in attacco.

Il Benevento non ha sorpreso affatto: poche rotazioni dei centrocampisti e zero inserimenti in profondità e in ampiezza da parte degli stregoni (Buonaiuto ha dato l’impressione di essere un giocatore importante). Una difesa esperta, condotta egregiamente da Antei (elemento di categoria superiore), due quinti di buona gamba (Improta e Letizia) che ieri, però, si sono annullati con i rispettivi dirimpettai (discreto l’esordio di Lopez in granata: arcigno, fisico ed esperto). In avanti i giallorossi sono ben “arredati”. Coda riesce a fare reparto da solo: sempre abile a smarcarsi e capace di liberarsi per la finalizzazione. Insigne, invece, ha sorpreso per i suoi efficaci “fuori linea”, sebbene sempre poco proficuo in fase conclusiva.

Il vantaggio ospite è l’ennesimo cadeau di Micai, portiere che resta di buon livello in B (anche ieri due grandi interventi prima della “papera” che ha deciso il derby). L’esperienza, però, insegna che sarebbe molto meglio avere un estremo difensore che giochi sempre da “6”, piuttosto che un elemento protagonista di alti e bassi così eclatanti.

Sotto di un gol, Gregucci non cambia modulo, ma pedine: tira fuori Perticone (sempre peggio il difensore), inserisce Rosina, fa scivolare Casasola terzo di difesa e allarga nella sua posizione naturale D. Anderson sulla destra. Qualche minuto più tardi chiama alle armi Di Gennaro, sostituendo un Minala generoso, ma ancora in ritardo di condizione. Il trainer romano si gioca pure la carta Calaiò all’ultima curva. La squadra sembra assorbire le scelte del tecnico: si ha l’impressione di una ritrovata vivacità da parte dell’ippocampo che però non si trasforma in capacità (e forza) di penetrare nelle maglie della difesa giallorosa. Il Benevento dal canto suo arretra il proprio raggio d’azione e si abbassa nei propri trenta metri, chiudendo ogni linea di passaggio, sempre pronto a ripartire velocemente in contropiede. La partita si spegne così, come una candela che ha finito la propria cera. Senza occasioni degne di nota, la Salernitana riesce a rimediare l’ennesima sconfitta casalinga (tre su quattro dell’era Gregucci) senza praticamente tirare mai nello specchio della porta.

 

A cura di Antonio Pappalardo – Allenatore Uefa B

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